Minori migranti: l’Odissea di Javed
Gli occhi dei ragazzi “nascosti in piena vista” ci chiamano ad andare più in profondità: quello con cui bisogna fare i conti è il risvolto disumano della Fortezza Europa. Per questo, vogliamo dedicare particolare attenzione ad una storia che è un pugno allo stomaco, incredibilmente documentata, che racconta l’intero viaggio migratorio condotto da un ragazzo afgano di 17 anni di nome Javed.
Grazie alla sua determinazione e al suo immenso coraggio, ha più volte filmato i tanti trasferimenti a cui è andato incontro, rischiando la reazione del trafficante. Si vedono montagne, deserto, pick up pieni di persone, mazzette di soldi. Ma non solo, in un passaggio terribile, ha ripreso anche la morte del suo compagno di viaggio.
L’inizio del viaggio e le prime barriere in Iran e Turchia
Javed viveva con la sua famiglia in Afghanistan, dove studiava e conduceva una vita tranquilla. Ma dopo la presa al potere del governo dei Talebani, è stato costretto a lasciare gli studi per lavorare in un’officina. Le condizioni di vita erano sempre più dure, così, grazie al sostegno dei genitori decise di intraprendere il viaggio della speranza per un futuro migliore verso l’Europa.
“Una volta raggiunto il confine, dei militari o iraniani o turchi hanno sparato in aria, così siamo scappati correndo verso il punto da cui eravamo venuti e siamo tornati a Tabriz in Iran. La notte seguente abbiamo riprovato a passare per il confine a Maku, abbiamo fallito nuovamente e siamo tornati indietro, solo che c’erano dei ladri sulla nostra strada. Questi saccheggiatori aspettavano solo i clandestini per catturarli: era la loro fonte di guadagno. […] La terza notte ci siamo spostati sul confine turco di Khoy. All’improvviso hanno iniziato a fare fuoco e le persone scappavano di qua e di là e uno dei miei amici, che mi accompagnava sin da Kabul, è stato colpito da un proiettile. Dopo gli spari, nessuno è venuto da noi, tutti noi ci siamo radunati per recuperare quel povero ragazzo. Continuava a sanguinare e sanguinare; è rimasto in vita per diverse ore e alla fine è morto.” Javed ci racconta che l’amico si era aperto con lui, confidandogli il nome e l’indirizzo della sua famiglia e grazie all’aiuto dei Curdi incontrati lungo il tragitto, è riuscito a consegnare loro il corpo del povero ragazzo ucciso.
Le violenze alla frontiera bulgara
Una volta arrivati al confine, poco dopo aver oltrepassato il filo spinato, il gruppo viene arrestato dalla polizia bulgara, dando inizio ad una serie di atti deplorevoli: “Prima di picchiarci ci ha detto di consegnare i telefoni cellulari. Nessuno aveva con sé il proprio telefono cellulare. I poliziotti hanno sguinzagliato il cane su di me, questo mi ha tirato e io mi sono messo a urlare perché mi aveva morso due volte il piede. Mi hanno picchiato ancora e alla fine ci hanno respinti. [...] Lavoravo ogni volta cinque o dieci giorni, oppure le nostre famiglie ci inviavano soldi dall’Afghanistan e così potevamo ritentare il “game”, ogni volta sono stato espulso e, alla fine, al 23esimo tentativo sono riuscito ad arrivare qui. [...] In quei precedenti ventidue tentativi, ogni volta che abbiamo provato ad attraversare il confine, ci hanno maltrattato, ci strappavano le scarpe e le bruciavano insieme ai vestiti. Si radunavano attorno al fuoco a bere vino e ci facevano sdraiare nudi sulla schiena e ridevano di noi, fino a quando non arrivavano altri poliziotti.Dopo averci picchiato e maltrattato, ci caricavano su un grosso veicolo e ci riportavano in Turchia oltre il confine.”
L’arrivo in Italia e le speranze future
Una volta arrivati a Trieste, il gruppo di viaggiatori sopravvissuti cerca riparo per passare la notte. Nei giorni seguenti, dopo aver osservato la quarantena in luoghi dedicati, Javed viene trasferito in una struttura di prima accoglienza per minori, ideata dal Comune di Trieste, centri di transito preventivi all’ingresso in comunità. È qui che lo conosciamo e lo intervistiamo, e proprio il giorno successivo sarebbe andato a vivere in una comunità in città, iniziando così ufficialmente il suo percorso di minore accolto in Italia.
“Dall’Afghanistan fino a Trieste ho speso 9.000 Euro, di quelli che dovevo pagare ne ho già dati 7.300 e gli altri 1.700 li devo ancora. Ho accettato di pagare 500 Euro al mese dopo aver trovato lavoro. Ogni tanto dei miei amici o parenti mi chiamano per dirmi “Sei stato fortunato ad arrivare in Europa e ad aver dato un senso alla tua vita”. Io rispondo Allah non voglia darti queste gioie. Ho visto e affrontato parecchie difficoltà in questo viaggio. Mi dicono che vogliono venire qui anche loro. Sono giovani e impazienti di venire in Europa. Non hanno presente quanto duro è il viaggio, un viaggio di vita e di morte. [...] Dico sempre loro di non fare quell’errore, le angherie e i pestaggi sono indimenticabili. Se avessi saputo di queste difficoltà, se qualcuno me ne avesse parlato, non penso che avrei intrapreso questo percorso. […] Il mio sogno è tornare nel mio Paese, supportare l’istruzione dei miei fratelli e sorelle. Questo è il mio sogno: tornare in un Afghanistan pacifico.”
Le altre voci “invisibili”
Nel rapporto “Nascosti in piena vista” troverete il resto delle testimonianze raccolte, simili a quella di Javed, persone che, come lui, sono state vittime di maltrattamenti: Fatma, Shahis, Adil, Ghulam, Idlib, e tanti altri, sono tutte storie di un’umanità in movimento, che non si ferma neanche di fronte ai muri e alle disgrazie.
Dalle vicende emerse dalla ricerca, puntiamo a trovare una strada migliore da percorrere e chiediamo alla Commissione europea l’adozione di una Raccomandazione agli Stati Membri per l’adozione e l’implementazione di politiche volte ad assicurare la piena protezione dei minori non accompagnati ai confini esterni ed interni dell’Europa e sui territori degli Stati Membri.