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Rohingya: cinque anni dopo l'esodo, due terzi dei bambini nei campi profughi e l’87% dei familiari non si sentono più sicuri di quando sono arrivati in Bangladesh

Cinque anni dopo la fuga di più di 750.000 Rohingya dalle uccisioni di massa, dagli stupri e dalle sistematiche violazioni dei diritti umani in Myanmar, i rifugiati in Bangladesh continuano a vivere nella paura. È quanto emerge da una nuova indagine[1] di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini in pericolo e per garantire loro un futuro.

 Due terzi (66%) dei bambini Rohingya intervistati e quasi tutti i genitori e le figure di riferimento (87%) affermano di non sentirsi più al sicuro rispetto a quando sono arrivati. I risultati dell’indagine condotta dall’Organizzazione mostrano che gli sforzi della comunità internazionale, nonostante siano significativi, risultano al di sotto di quanto necessario per rispondere adeguatamente ai bisogni dei rifugiati Rohingya.

Nell'agosto 2017 il mondo ha assistito con orrore alla fuga di centinaia di migliaia di Rohingya dallo Stato di Rakhine in Myanmar in uno dei più rapidi spostamenti forzati di persone nella storia recente. La maggior parte di loro si trova a Cox's Bazar, in Bangladesh, ora sede del più grande campo profughi del mondo.

La metà dei bambini intervistati ha dichiarato di condurre una vita "infelice" e un quarto ha valutato la propria vita in modo così negativo da affermare di soffrire. Quasi l'80% dei bambini ha dichiarato di sentirsi depresso o stressato. I genitori e le figure di riferimento portano un fardello ancora più pesante: più di nove su dieci, infatti, hanno dichiarato di sentirsi depressi (92%), ansiosi (90%) e stressati (96%). "Sono cinque anni che sopravviviamo in questo campo di esilio sotto diverse minacce e limitazioni, proprio come facevamo in Myanmar. Non abbiamo più forze per sopportare questa vita terribile", ha raccontato Mohammad*, un padre, a Save the Children.

Il matrimonio infantile rappresenta una delle maggiori preoccupazioni per quasi il 60% dei rifugiati Rohingya intervistati. L'impennata dei prezzi ha lasciato molte famiglie di rifugiati in difficoltà e con poche opportunità di reddito disponibili. Alcuni vedono il matrimonio infantile come un modo per alleviare la pressione finanziaria. Secondo dati recenti, oltre il 70% delle famiglie ha dichiarato di conoscere un bambino che si è sposato nell'ultimo mese[2]. Save the Children teme che l'aumento del costo della vita a livello globale abbia un impatto sulla capacità della comunità umanitaria di continuare a fornire gli aiuti necessari ai rifugiati Rohingya e che l'aumento della disperazione porti a un ulteriore incremento dei matrimoni infantili.

Tra le altre preoccupazioni principali dei bambini c'è la sicurezza. La pandemia di Covid-19 e le successive chiusure hanno visto un minor numero di organizzazioni umanitarie sul posto e ridotto la sicurezza dei campi creando un terreno fertile per bande e gruppi armati. "Mi sentivo più sicuro qualche anno fa, perché le bande non erano così attive come ora e le autorità di sicurezza erano più responsabili”, ha dichiarato uno dei giovani intervistati.

La scolarizzazione è stata una delle principali ansie dei bambini tanto che tre quarti di loro hanno indicato la mancanza di un'istruzione di qualità tra le prime tre preoccupazioni. "Qui non possiamo ricevere un'istruzione, soprattutto in birmano. Stiamo imparando solo l'inglese e dimentichiamo la nostra lingua. Non possiamo giocare all'aperto perché non c'è abbastanza spazio. In Myanmar avevamo un grande parco giochi e spazi aperti", ha raccontato un dodicenne.

"È inaccettabile che, cinque anni dopo essere fuggiti da orribili violenze nel loro Paese, la maggior parte dei rifugiati Rohingya non si senta ancora al sicuro. Il mondo può aver rivolto la sua attenzione ad altre crisi, ma cinque anni dopo, quasi mezzo milione di bambini Rohingya sta ancora crescendo in campi sovraffollati. Mostrano preoccupanti segni di depressione e ansia e, con un accesso limitato alla scuola, stanno perdendo ogni speranza di una vita migliore”, ha dichiarato Onno van Manen, direttore di Save the Children in Bangladesh.

"Sebbene la maggior parte dei Rohingya - ha aggiunto - voglia tornare a casa, le continue violenze in Myanmar fanno sì che, per il momento, il ritorno sicuro non sia un'opzione. I Rohingya continuano a essere arrestati e detenuti per essersi spostati al di fuori dei loro villaggi e viene loro negata la cittadinanza e i diritti fondamentali. Sono tagliati fuori dall'assistenza sanitaria, dall'istruzione e dal lavoro. I Rohingya non potranno tornare a casa finché non saranno affrontate le cause profonde che li hanno spinti a fuggire. Fino ad allora, dobbiamo fare di più per proteggere i Rohingya, cominciando con l'affrontare il flusso di aiuti che sta diminuendo".

Save the Children chiede alla comunità internazionale, ai governi regionali e al governo del Bangladesh di aumentare il sostegno ai Rohingya e di fornire loro uno status legale, istruzione e opportunità di lavoro.

Save the Children è una delle principali organizzazioni internazionali che lavorano a Cox’s Bazar. Sta sostenendo i bambini rifugiati Rohingya e le loro famiglie favorendo l'accesso all'istruzione, alla salute e alla nutrizione, al cibo, all'acqua, al rifugio e ai servizi di protezione dell'infanzia. Dal 2017 sono stati raggiunti più di 600.000 rifugiati Rohingya, di cui 462.785 bambini.

Qui è possibile vedere il video con le immagini dei rifugiati al campo di Cox’s Bazar e i dati dell’indagine: https://vimeo.com/742264884/659084d5f3

Per sostenere gli interventi di Save the Children a sostegno dei Rohingya: https://www.savethechildren.it/dona-bambini-rohingya

Per ulteriori informazioni:
Tel. 3389625274 - 3455508132
ufficiostampa@savethechildren.org
www.savethechildren.it

[1]   Save the Children ha intervistato 293 rifugiati Rohingya, tra cui 94 bambini dai 12 ai 18 anni, 85 giovani dai 19 ai 24 anni e 114 genitori e caregivers, in nove campi a Cox’s Bazar in Bangladesh.

[2] Fonte: Rapporto di monitoraggio della protezione del Comitato internazionale di soccorso, giugno 2022.