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Rohingya: l'Organizzazione chiede ai leader dell’Unione europea di adottare un piano in sei punti per porre fine alla crisi umanitaria

Mentre i ministri dei paesi membri dell’Unione europea si riuniscono a Bruxelles per il Consiglio degli Affari esteri, Save the Children, l’Organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro, chiede ai leader Ue di intraprendere passi coraggiosi e decisivi per contribuire a porre fine alla crisi umanitaria dei rohingya, che sta divenendo la maggiore emergenza dei nostri tempi in tema di diritti umani. L’Organizzazione è preoccupata per gli oltre 378.000 bambini rohingya che sono stati allontanati forzatamente dalle loro case dal mese di agosto, molti dei quali hanno assistito a crimini indicibili [1]. 

Save the Children propone all’Unione europea l’adozione immediata di un piano in sei punti per prevenire ogni ulteriore sofferenza dei bambini rohingya e delle loro famiglie. Il piano proposto prevede di: insistere sull’immediato, pieno e illimitato accesso umanitario per raggiungere tutte le persone in condizione di bisogno nello stato del Rakhine; supportare il rimpatrio dei rifugiati rohingya in Myanmar solo se condizioni e garanzie minime sono realizzate, per assicurare la sicurezza fisica, materiale e legale dei rimpatriati e richiedere il coinvolgimento sostanziale dell’Unhcr nella supervisione di ogni processo di rimpatrio; supportare lo sviluppo di un piano dettagliato e chiaro per assistere gli sfollati interni rohingya, confinati dal 2012 in luoghi assimilabili ai campi di detenzione nel Rakhine, affinché possano tornare nei loro luoghi di origine o ricollocati, e facilitare il loro accesso a servizi e mezzi di sostentamento; imporre immediatamente il divieto di ingresso nell’Unione europea e sanzioni finanziarie ai comandanti militari e ai superiori responsabili di aver ordinato atti criminali e considerare la possibilità di un divieto sulle operazioni commerciali e di investimento con le compagnie di proprietà militare; sospendere i programmi di assistenza ai militari e supportare la fondazione, sotto il mandato delle Nazioni Unite, di un embargo globale sulle armi; supportare l’accesso al Myanmar della Missione Onu di Fact-Findind e esplorare tutte le strade per la giustizia e il riconoscimento delle responsabilità, incluse le corti internazionali.

I team di Save the Children ogni giorno ascoltano le storie dei bambini sopravvissuti e delle loro famiglie, che hanno vissuto o assistito alle più orribili violazioni. L’Organizzazione ha documentato le testimonianze dirette delle atrocità sofferte dalla comunità rohingya, che nel loro insieme costituiscono crimini contro l’umanità e pulizia etnica. Queste includono lo stupro sistematico, la violenza sessuale, l’umiliazione pubblica, le punizioni collettive, l’omicidio, l’evacuazione forzata e la distruzione della proprietà privata. 

“I militari sono venuti nel nostro villaggio, hanno iniziato a sparare alle persone colpendo mia madre a un’anca. Poi hanno chiesto a tutte le adolescenti di stare in piedi e ci hanno domandato dove fossero i nostri genitori – ha raccontato a Save the Children Shadibabiran, 16 anni - Ho detto loro che mio padre era morto da 15 anni. Mi hanno colpito in faccia con un arma da fuoco, mi hanno dato un calcio nel petto e mi hanno pestato braccia e gambe. Sono stata stuprata da tre soldati per due ore. A un certo punto sono svenuta. Mi hanno rotto una costola quando mi hanno colpita, è stato molto doloroso e respiravo a fatica. Ho ancora difficoltà a respirare, ma non sono stata da un dottore, perché mi vergogno troppo”.

“Quando i militari sono arrivati, due dei soldati hanno afferrato una adolescente e l’hanno stuprata in gruppo, di fronte all’intero villaggio. Quelli che cercavano di aiutarla venivano picchiati dagli altri soldati – ricorda Kushida, 40 anni -  Hanno iniziato a sparare addosso alla gente, così siamo corsi verso il villaggio vicino. Anche la ragazza è riuscita a scappare e a raggiungere il villaggio dove la maggior parte di noi era fuggita. Era in condizioni molto gravi. I suoi genitori sono stati uccisi nel tentativo di darle aiuto. L’ho lavata e ho provato a curarle le ferite. Aveva solo 14 anni e sanguinava molto. È morta dopo 4 giorni”.

“Con la crisi dei rifugiati rohingya assistiamo al più rapido spostamento di massa di un popolo dopo il genocidio del Ruanda nel 1994 e sta accadendo di fronte ai nostri occhi. I ministri riuniti a Bruxelles hanno molti strumenti a loro disposizione per contribuire alla produzione di un cambiamento positivo, dalla diplomazia alle sanzioni” commenta Ester Asin, direttrice dell’ufficio Ue di Save the Children a Bruxelles. “Molti rohingya ora affrontano la prospettiva di essere rimpatriati forzatamente in circostanze discutibili e senza alcuna garanzia di sicurezza [2]. Centinaia di migliaia di persone innocenti hanno perso tutto senza aver commesso alcun crimine. I leader Ue hanno un’unica opportunità di affrontare la sfida e combattere per i rohingya perseguitati. Uno dei principi fondamentali dell’Unione europea è il rispetto per i diritti umani, le libertà civili e la legge. Chiediamo ai leader dell’Unione di restare fedeli ai loro impegni e di agire ora. Non c’è tempo da perdere, non possiamo permetterci un altro Ruanda”.

Save the Children chiede ai leader Ue di prendere posizione in modo forte sulla situazione nel nord dello stato del Rakhine e di fare tutto ciò che è in loro potere per evitare ulteriori violenze contro i bambini ronhingya e assicurare che i responsabili siano obbligati a risponderne.

Per sostenere gli interventi di Save the Children a supporto delle comunità Rohingya: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/risposta-alle-emergenze/crisi-umanitaria-rohingya

Per ulteriori informazioni:

Tel 06-48070023/63/81/82

ufficiostampa@savethechildren.org

www.savethechildren.it

[1] Attualmente ci sono circa 835.000 rifugiati rohingya in Bangladesh, dei quali 630.00 che sono fuggiti a partire dal 25 agosto. C’è anche un numero significativo di rohingya sfollati interni, costretti ad abbandonare le loro case molto prima delle ondate di violenza in Myanmar, che continuano ad abitare in campi nello stato di Rakhine dove i loro diritti elementari sono violati.

[2] Il 23 novembre 2017 I governi di Bangladesh e Myanmar hanno firmato un accord sul rimpatrio delle persone fuggite dallo stato di Rakhine. L’accordo stabilisce che il processo di rimpatrio debba iniziare il prima possibile e debba essere completato entro una scadenza.