La malnutrizione
vista da vicino

Lontano dagli occhi, lontani dai cuori.
Un viaggio attraverso le parole di chi è stato nei Paesi dove la guerra, la povertà e i cambiamenti climatici mettono a rischio la vita dei bambini.

Fuori dalla luce dei riflettori, milioni di bambini continuano a morire di malnutrizione.

Guerre, povertà, disastri naturali e cambiamento climatico sono le cause principali della malnutrizione...

POVERTÀ

E MALNUTRIZIONE

IL CASO DELL'UGANDA

Il 90% dei bambini colpiti da malnutrizione acuta vive in paesi a medio o basso reddito.
I bambini più poveri hanno una probabilità su 3 in più di non arrivare al quinto anno di età. Senza una dieta sana, ricca ed equilibrata, la disponibilità di acqua pulita e l’accesso alla cure e ai servizi sanitari adeguati, la malnutrizione delle mamme e dei bambini diventa una seria sfida difficile da combattere.
Una mamma malnutrita in fase di gravidanza o allattamento ha più possibilità di dare alla luce bambini sottopeso o che sviluppano gravi ritardi nella crescita, perpetuando un circolo vizioso e intergenerazionale di malnutrizione.

In Uganda più del 30% della popolazione è costretta a fare i conti con una condizione cronica di insicurezza alimentare, esacerbata dalla povertà, dall’assenza di terra, alti tassi di fertilità, disastri naturali, innalzamento dei prezzi dei generi alimentari, mancanza di educazione.

Cesare Bocci

racconta il suo viaggio con noi in Uganda

Siamo in viaggio da più di due ore per raggiungere un villaggio remoto abbarbicato sulle montagne a più di 2.000 metri d’altezza, gli operatori di Save the Children hanno individuato diversi casi di malnutrizione tra i bambini della comunità. La Jeep sobbalza continuamente per le buche grandi come crateri che hanno divorato la strada, più volte le ruote hanno arrancato a fatica nel fango. La povera gente che incontriamo ci guarda come fossimo alieni, non si capacitano del fatto che dei bianchi possano trovarsi lì. Il distretto di Kasese, nella parte occidentale dell’Uganda al confine con il Congo, è una delle aree più povere e impervie del paese. Qui la malnutrizione raggiunge percentuali altissime.

Eppure, non è l’Africa che conosco, quella del Mozambico, martoriata da una siccità di due anni e dalla carestia, quello che vedo intorno a me è completamente diverso. Qui la natura è ricca: alberi, laghi, coltivazioni rigogliose che si estendono a perdita d’occhio. Questa è una terra in cui basta piantare un seme e la natura è pronta a restituire i suoi frutti.
E allora mi chiedo, perché i bambini muoiono ancora di fame? Perché per poter raggiungere la prima fonte d’acqua bisogna camminare almeno un’ora? Perché gli ospedali e i pochi centri sanitari sono lontanissimi dai villaggi?
L’Uganda è anche un paese ricco di risorse naturali: oro, diamanti, coltan, rame, petrolio, potrebbe essere un paese prospero, quanto meno il cibo dovrebbe esserci per tutti.
Le ragioni per questa drammatica e ingiusta situazione sono tante: anni di conflitti interni per il potere hanno devastato il paese nel suo tessuto sociale e culturale, le grandi multinazionali si sono poi accaparrate centinaia di migliaia di ettari per coltivazioni estensive di tè, di banane, di prodotti che non restano nel paese, che prendono le vie dell’occidente. La gente così è stata privata anche della poca terra che aveva, quella gli permetteva comunque di sopravvivere.
Questa è realtà che si palesa ai miei occhi, e provo tanta rabbia, frustrazione, tristezza… Ma nel frattempo siamo arrivati al villaggio di Kagondo, e la rabbia lascia il posto alla speranza.
La prima persona che vedo è Jonas, con in braccio sua figlia Dorine, 11 mesi. Dorine è nata sottopeso e ancora oggi è uno scricciolo, che pesa molto, molto meno di quello che dovrebbe. Quando gli operatori di Save the Children l’hanno individuata, era in una situazione disperata. Portata in ospedale, le hanno immediatamente somministrato alimenti terapeutici e sali reidratanti. Sono stati spesi pochi euro e in pochi giorni Dorine ha cominciato a riprendersi. Ora è fuori pericolo, e sua madre è tornata a sorridere e a guardare avanti. E sorrido anch’io, animato da tanta speranza, perché penso che in ogni paese dove siamo presenti, dall’India al Corno d’Africa, dal Mozambico all’Indonesia, e anche qui in Uganda, con l’aiuto degli operatori di Save the Children e di tutta quella gente che dona anche un solo euro perché ci crede, si riesce a salvare la vita di tanti bambini innocenti, che non sanno nulla di potere, petrolio e multinazionali.
Sorrido e piango se penso che circa dieci anni fa al mondo morivano nove milioni di bambini sotto i cinque anni per cause prevenibili e curabili, e ora sono solo cinque milioni e mezzo.
Sorrido e sento un’urgenza fortissima dentro perché bisogna fare di più e presto per azzerare questi numeri assurdi. È nostro dovere. Perché i bambini, ovunque si trovino nel mondo, e di qualsiasi razza essi siano, sono i bambini dell’umanità, sono i nostri bambini, sono la nostra speranza.

GUERRA

E

MALNUTRIZIONE

IL CASO DELLO YEMEN

Secondo un recente rapporto sono 350 milioni i bambini che vivono in zone fragili o afflitte da conflitti. Le guerre continuano a rappresentare il principale driver dell’insicurezza alimentare. Si tratta di crisi alimentari dovute prevalentemente allo scoppio di violenti conflitti che impediscono a donne, uomini e bambini di accedere a cibo sano e acqua pulita.

4,5 milioni di bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta nei 10 paesi maggiormente devastati dalle guerre. Di questi, 590 mila rischiano di morire entro la fine del 2018 se non ricevono urgente assistenza umanitaria.

In Yemen il cibo si è trasformato in una vera e propria arma di guerra ai danni delle popolazioni locali. In un paese già povero e caratterizzato dall'insicurezza alimentare ancora prima della guerra, 13 milioni di persone soffrono la fame, tra questi moltissimi bambini soffrono di malnutrizione.

Mariarita, operatrice in Yemen,

racconta il suo lavoro sul campo

Quando sono partita per la missione in Yemen avevo il cuore colmo di speranze ma anche di paure: stavo andando in un Paese di cui non si sente molto parlare in Italia in cui però c’è una catastrofe umanitaria in atto e non solo a causa di una cruenta guerra civile.
I bambini in Yemen vivono quotidianamente il trauma delle bombe che, spesso, colpiscono case di civili "per sbaglio". Sono bambini che trovano normale giocare tra i detriti di palazzi distrutti e ordigni inesplosi. Inoltre, le precarie condizioni igieniche in cui le persone sono costrette a vivere hanno facilitato la diffusione del colera dando origine alla più grande epidemia della storia in una popolazione già devastata dalla malnutrizione.
È difficile essere totalmente preparati ad affrontare il dramma quotidiano dei bambini in Yemen. Loro hanno perso tutto, la casa, la scuola, gli ospedali e molti anche la speranza. Muoiono sotto le bombe, per mancanza di cibo, per malattie che potrebbero essere facilmente curabili se solo avessero accesso alle cure. Per tutti i bambini che vivono il terrore quotidiano della guerra e lo spettro della fame, l’isolamento e l’insicurezza sono diventati parte della vita quotidiana.
Grazie all’approccio integrato dei nostri interventi (salute, nutrizione, igiene e interventi sanitari) e ai centinaia di centri aperti in questi anni per il trattamento del colera siamo riusciti a salvare tantissime persone, fornendo loro cure adeguate; siamo riusciti ad individuare moltissimi casi di malnutrizione grave e ad intervenire in tempo con cibi altamente nutritivi che in poche settimane hanno donato un sorriso di vita nuova ai più piccoli.
Abbiamo lavorato per strappare dalla morte quante più vite possibile ma il tempo in Yemen non è tuo amico. Ci sono aree remote in cui è stato difficilissimo arrivare, le medicine scarseggiano, gli operatori sanitari non vengono pagati da mesi. E’ una costante corsa contro il tempo, una questione di vita o di morte.
Quando guardi uno di questi bambini negli occhi ti senti impotente. Quando i suoi genitori ti chiedono di salvargli la vita e tu grazie ai nostri progetti ci riesci, senti di poter salvare il mondo intero.
È questo che ci dà la forza di continuare a fare il nostro lavoro nonostante le difficoltà, la possibilità di arrivare fino all'ultimo bambino, donare speranza e salvare ancora un'altra vita.

CAMBIAMENTO CLIMATICO

E MALNUTRIZIONE

IL CASO DELLA SOMALIA

La lotta alla fame e alla malnutrizione è seriamente minata dalle
numerose sfide del cambiamento climatico.
L’Africa orientale ha dovuto fare i conti con gli effetti di una prolungata siccità in Kenya, Etiopia e Somalia, che ha colpito più di 17 milioni di persone, lasciando circa 700 mila bambini in uno stato di malnutrizione ed esponendoli al rischio di malattie e di abbandono scolastico.

La Somalia è un paese martoriato dalla guerra e dagli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici e conta oggi circa 2 milioni di sfollati di cui quasi 1 milione di minori.

Gianluca Ales, inviato SKYTG24,

racconta la sua esperienza in Somaliland

Inutile cercare Hog Cirinli sulle cartine geografiche, perfino su quelle più accurate del Somaliland. È una manciata di capanne in mezzo al nulla, dove si possono incontrare gli ultimi pastori che riescono a sopravvivere con la loro attività.
Ed lì, più che nell’epicentro della crisi, situato più all’interno, che si riescono a capire almeno due cose.
Primo, quale sia l’impatto devastante del cambiamento climatico su un’area già di per sé fragile come il Corno d’Africa. Fino a 5 anni fa quella zona era una sorta di paradiso, un’area verde dove pascolavano greggi immense di capre e pecore. “Erano talmente tante che non riuscivamo a vedere il terreno”, ci raccontano i locali, mentre lo sguardo spazia su una distesa di sabbia impalpabile come cipria e pochi sparuti cespugli secchi dove pascolano poche capre rinsecchite. “Il mio gregge era di 3000 capre, ora di 35”, “i miei figli ora studiano in città, perché non c’è più niente qui”, “non sappiamo che cosa aspettarci dal futuro”, sono i punti fermi di ogni racconto. Povertà, disperazione ma, soprattutto, mancanza di un futuro. Colpisce vedere quelli che un tempo erano i benestanti portare i propri figli nei centri per la malnutrizione, spostarsi negli IDP, dove non c’è niente, “ma almeno un po’ d’acqua”.
Secondo, il significato profondo del motto di Save the Children “whatever it takes” – “a qualunque costo”.
I fuoristrada si arrampicano per sentieri impervi, in mezzo al nulla, fino a raggiungere i più remoti insediamenti umani. Perché lì ci sono i bambini. Che si devono nutrire, curare, portare negli ospedali. Vedere i segni della malnutrizione che gli schiarisce i capelli, gli arrossa le cornee, li fa gemere nel tipico pianto dei bambini affamati è una prova dura. E l’unica speranza cui attaccarsi è che c’è qualcuno che li raggiunge e si prende cura di loro. Ovunque siano. A qualunque costo.

L'Agenda 2030 si è affermata a livello globale come framework di riferimento non solo per i paesi firmatari, ma anche per i cittadini, organizzazioni internazionali, organizzazioni governative, società civile e settore privato. In questo contesto, la lotta alla fame svolge un ruolo fondamentale non solo in quanto obiettivo a sé stante, ma soprattutto in sinergia con numerosi altri SDGs.

Dal 2000 ad oggi abbiamo contribuito a ridurre il numero di bambini sotto i 5 anni colpiti da malnutrizione, che è sceso da 198 a 151 milioni. Tuttavia resta ancora molto da fare.

Anche se la sfida è grande, il nostro lavoro non si ferma. Da molti anni operiamo in tutto il mondo per lottare contro la malnutrizione e salvare le vite di madri e bambini, in aree colpite da conflitti o disastri e dove i sistemi sanitari scarseggiano attraverso programmi inclusivi che promuovono un approccio integrato e multi settoriale alla nutrizione e allo sviluppo.

Scegli di essere al nostro fianco. 

Invia un SMS al 45533 per dare ai bambini acqua, cibo e cure.

Credits: Luca Muzi, Jonathan Hyams, Stuart Sia, Muhammad Awadh, Pedro Armestre per conto di Save the Children