Festa del papà: in Italia congedi e dimissioni volontarie in aumento tra i padri per esigenze di cura dei figli. Il tasso di utilizzo del congedo di paternità è cresciuto in quasi 10 anni più di 38 punti percentuali.

Sebbene il lavoro di cura dei figli rimanga in Italia un appannaggio prevalentemente femminile, i padri hanno iniziato a riappropriarsi del loro ruolo in famiglia e non vogliono più rinunciare al tempo speso con i figli a causa degli impegni lavorativi. Se ancora oggi sono le donne a dover rinunciare alla carriera o addirittura al posto di lavoro, perché gli impegni a casa diventano un impedimento alla loro vita professionale, qualcosa finalmente si muove nell’universo della paternità.

Questa l’analisi di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare la vita delle bambine e dei bambini e garantire loro un futuro, che in occasione della Festa del papà, sottolinea la diminuzione graduale e costante nell’ultimo decennio nel nostro Paese del divario tra donne e uomini nella cura genitoriale, nonostante permanga un forte squilibro di genere.

Un segnale positivo viene dalla crescita, seppure lenta e graduale, del numero dei papà che richiedono i congedi di paternità. Alla sua introduzione, nel 2012 il congedo di paternità prevedeva un solo giorno obbligatorio e due facoltativi, mentre oggi garantisce 10 giorni obbligatori e uno facoltativo ai neopapà ed è fruibile tra i due mesi precedenti e i 5 successivi al parto. Il tasso di utilizzo del congedo di paternità presenta un trend di crescita, passando dal  19,23% del 2013 al 48,53% del 2018 e attestandosi al 57,60% nel 2021[1]. I padri che hanno chiesto il congedo di paternità nel 2021 sono stati 155.845, su un totale di 400mila nascite. Si tratta di un trend che non potrà che essere positivo anche nei prossimi anni, se si considera che questo tipo di congedo esclude i lavoratori autonomi e parasubordinati, e che fino all’agosto del 2022 mancavano i decreti attuativi che avrebbero permesso la sua fruizione anche ai padri lavoratori del settore pubblico.

Tuttavia, rispetto alla fruizione del congedo di paternità, una recentissima analisi[2] ha messo in evidenza alcune disuguaglianze significative: ad usufruirne di più sono i padri che lavorano in imprese più grandi, con contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno. A parità di caratteristiche individuali e sociali, c’è poi una differenza di circa 17 punti percentuali a favore di chi risiede al Nord del Paese rispetto a chi vive al Sud.

C’è anche da sottolineare come negli anni stia aumentando il numero di padri che usufruiscono anche dei congedi parentali facoltativi, rispetto ai quali dal 2022 sono state introdotte diverse novità proprio con l’applicazione della Direttiva europea del 2019, che aveva come obiettivo quello di colmare il divario di responsabilità di cura tra uomini e donne e favorire la parità di genere in ambito lavorativo e familiare.

La maggiore attenzione al tempo da dedicare alla cura dei figli porta, tuttavia, anche i padri a misurarsi con le rigidità del mondo del lavoro che storicamente hanno contributo a rendere per le mamme sempre più complessa la conciliazione dei tempi di cura e dei tempi di lavoro.

Dai dati[3], infatti, emerge che le difficoltà a conciliare il lavoro e le esigenze di cura delle bambine e dei bambini riguardano oggi in misura crescente anche i padri. Osservando il totale delle convalide delle dimissioni e risoluzioni contrattuali consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, su un totale di 52.436 convalide, 37.662 (71,8%) si riferiscono a donne, ma cresce il numero di quelle maschili, 14.774 (28,2%). Uno scenario diverso da quello di soli 10 anni fa, quando quelle degli uomini riguardavano appena il 2,9% del totale.

Le dimissioni volontarie pesano per il 95,6% sul totale delle convalide per dimissioni e risoluzioni consensuali per i padri (il 94% per le madri) e sono aumentate del 55% rispetto al 2020 (mentre per le madri l’aumento è stato del 14%).

In generale, nella metà circa dei casi di convalida (51%), la motivazione addotta è la difficoltà di conciliazione tra la condizione lavorativa e le esigenze di cura dei figli, sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura che per ragioni di carattere organizzativo del proprio lavoro. Un indice dell’incapacità del sistema Paese di sostenere la genitorialità attraverso politiche di rafforzamento dei servizi all’infanzia e un’organizzazione del lavoro maggiormente attenta all’equilibrio tra vita familiare e lavorativa. Una miopia politica che se prima aveva un impatto solamente sulle neomamme, oggi comincia a farsi sentire anche sui neopapà.

Nonostante la quasi totalità delle dimissioni volontarie legate alle esigenze di cura dei figli sia presentata dalle madri (il 97,6% nel caso di quelle legate alla carenza nei servizi di cura e il 93,8% nel caso di ragioni organizzative dell’azienda, per un totale di 30.361 donne), ci sono 1.158 padri nel 2021 che hanno assunto questa decisione. Un numero esiguo, ma in forte aumento rispetto agli anni scorsi. L’Organizzazione sottolinea infatti che tra il 2020 e il 2021 c’è stato un aumento del 43,9% dei padri che dichiarano difficoltà a conciliare il lavoro con la cura del bambino/a per ragioni legate ai servizi di cura (es. mancanza di parenti di supporto) – contro un aumento dell’8,4% per le madri - e del 66,2% di padri che dichiarano difficoltà a conciliare il lavoro con la cura del bambino/a per ragioni legate all’azienda dove sono impiegati (+2,7% per le madri). In quest’ultimo caso sono aumentati del 50% i padri che lasciano l’occupazione perché il datore di lavoro non vuole concedere il part-time e del 73% quelli che lo fanno perché l’organizzazione del lavoro è troppo gravosa e/o difficilmente conciliabile con la cura dei figli. Ma c’è un aumento importante anche per quanto riguarda quei padri che, dopo la nascita di un figlio, considerano la distanza della sede di lavoro un problema (+85,3%).

 “Diversi studi[4] dimostrano come i congedi di paternità siano uno strumento di grande rilievo nel rapporto di coppia e nel rapporto dei padri con i propri figli/e, migliorando anche la salute e lo sviluppo di bambine e bambini. Il cammino è ancora lungo e moltissimi passi avanti devono essere fatti per un cambiamento dei modelli culturali di riferimento maschili, per piena condivisione delle responsabilità familiare e per politiche pubbliche che sostengano la genitorialità, anche al fine di contrastare la crisi demografica in atto. Per questo motivo è fondamentale rafforzare i servizi per l’infanzia, come gli asili nido, che devono effettivamente diventare un livello essenziale di prestazioni per tutto il Paese. E’ necessario, allo stesso tempo, sostenere la condivisione delle cure genitoriali“ afferma Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.  “Per questo motivo chiediamo di fare un ulteriore passo in avanti ed equiparare il congedo di paternità a quello di maternità, un tassello fondamentale per sostenere la genitorialità anche nel mondo del lavoro senza dover costringere le mamme – e adesso anche i padri – a dover scegliere tra responsabilità genitoriali e percorso lavorativo” conclude Raffaela Milano.

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[1] Elaborazione su dati INPS a cura di Maria De Paola, Professoressa di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza dell’Università della Calabria. Attualmente in congedo, è dirigente presso la Direzione Centrale Studi e Ricerche INPS, e Daniela Moro, ricercatrice presso la Direzione Centrale Studi e Ricerche INPS.

[2] Idem

[3] Fonte: dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro 2021

[4] Fonte: Cannito M. (2022), "Fare spazio alla paternità. Essere padri in Italia tra trasformazioni del welfare, ambienti di lavoro e modelli di maschilità", Il Mulino, Bologna. Elaborazione su dati INPS.