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Darfur: Save the Children continuerà a rimanere nel paese ed aiutare i bambini che ormai da cinque anni vivono in una zona conflitto.

Oltre 400.000 morti, almeno due milioni di persone costrette alla fuga e a una vita da sfollati all'interno del Sudan, o nei campi profughi in Ciad. È il drammatico bilancio della guerra che continua a insanguinare il Darfur, nel Sudan occidentale, da ormai 5 anni: domani 26 febbraio ricorre infatti l’anniversario dell’inizio del conflitto.
5 anni di violenze terribili e tuttora impunite ai danni di uomini, donne e moltissimi bambini.
Le condizioni di questi ultimi sono drammatiche: il pericolo, soprattutto per le bambine, di subire violenze e abusi è quotidiano, così come quello di assistere all'uccisione dei propri cari o il trauma di essere separate dai genitori. E a rischio è anche la sopravvivenza di tanti bambini, a causa della malnutrizione e delle precarie condizioni igienico-sanitarie.
Per tutte queste ragioni, pur avendo già pagato un alto prezzo con l'uccisione di 2 suoi operatoti, Save the Children non ha abbandonato il Darfur, dove è, tra le organizzazioni internazionali indipendenti, quella che sta assicurando il più ampio intervento di aiuti: 500.000 circa i bambini e gli adulti raggiunti ogni mese dallo staff di Save the Children, operativo nel Darfur occidentale dal 1989 con un ufficio di coordinamento a Geneina.
Distribuzione di cibo, approvvigionamento di acqua potabile, assistenza medica e nutrizionale, protezione e scuola per i bambini sono tra le principali attività. Nel dicembre scorso Save the Children ha distribuito 4.900 tonnellate di cibo a 380.000 fra minori e adulti, in 42 villaggi e località del Darfur. Sta fornendo acqua potabile a oltre 100,000 persone: 1.500 bambini hanno ricevuto informazioni base sulle principali misure igieniche e sanitarie.
17 gli ambulatori di Save the Children operativi nel Darfur occidentale, dove a dicembre sono stati 14.000 i pazienti assistiti e 265 le donne che vi hanno potuto partorire.
Save the Children è l'unica organizzazione non governativa ad avere attività strutturate per i bambini: circa 30.000 i ragazzi e le ragazze coinvolti in attività ricreative e parascolastiche in 30 Children Center; quasi 20.000 i minori iscritti in 38 scuole supportate da Save the Children, nelle quali solo a dicembre sono state costruite 13 nuove classi, completata la costruzione di 8 nuove scuole elementari e di 6 bagni.
Tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare per riuscire ad ottenere miglioramenti duraturi per i bambini del Darfur. L’instabilità del conflitto, l’enorme portata dei bisogni della popolazione, l’elevato numero di persone che vivono in condizioni disperate, creano in continuazione nuovi bisogni e necessità di intervento.
Nonostante queste difficoltà e nonostante sia sempre più difficile raggiungere i bambini e le loro famiglie, l’organizzazione rimane ferma e risoluta nella propria volontà di continuare ad operare su questo territorio martoriato.

Una storia di successo: Hussein e la vita nel campo di Dorti
Save the Children ha stabilito tre Children Center nel campo di Dorti, nella parte occidentale del Darfur, dove sono confluite circa 8.000 persone che scappavano dalla violenza dei propri villaggi. Tra di essi anche Hussein e la sua famiglia, arrivati circa tre anni fa.
I bambini che approdano a Dorti e in generale in tutti i campi profughi, hanno già vissuto terribili esperienze e si trovano a crescere in un ambiente estremamente instabile. Non appena arrivati, Hussein ha cominciato a cambiare: la sua famiglia aveva notato che era diventato introverso, si rifiutava di uscire da solo da casa e di parlare con gli adulti ed era riluttante anche a giocare con gli altri bambini.
Alcuni mesi più tardi, con l’apertura del primo dei Children Center, gli operatori di Save the Children hanno capito che Hussein era un bambino molto vulnerabile e che aveva un estremo bisogno di ritrovare un senso di normalità ed un ambiente protetto, e sono riusciti a convincere i genitori a farlo partecipare alle attività del centro.
All’inizio il percorso di Hussein non è stato facile: benché frequentasse il centro, stava seduto per conto proprio, non voleva parlare e solo raramente partecipava alle attività. Aveva difficoltà a fare amicizia e si teneva a distanza dal gruppo. Oggi, dopo quasi tre anni, Hussein è uno dei ragazzi più attivi e diligenti.
Bahar, il Responsabile dei Rapporti con la Comunità nel campo di Dorti, ricordando che “all’inizio mentre tutti i ragazzi entravano nel centro, Hussein rimaneva fuori. Se qualcuno provava a parlare con lui o gli chiedeva di partecipare alle attività, si girava e scappava via. Ma ora è il primo ad arrivare e prende parte a tutto ciò che viene organizzato”.
Senza il Children Center, Hussein non avrebbe avuto la possibilità di avere uno sviluppo sociale, intellettuale, fisico ed emozionale equilibrato e come lui tanti altri bambini. Il centro gli ha semplicemente consentito di vivere in uno spazio protetto e sicuro, dove ha svolto una serie di attività, che fanno parte della vita quotidiana di ogni bambino e di cui era stato privato drasticamente, che lo hanno aiutato a ritrovare un senso di normalità, seppur all’interno dei un campo profughi.


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