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Iraq: Save the Children, a cinque anni dall’inizio della guerra drammatiche le condizioni dei bambini iracheni fuggiti all’estero con le loro famiglie

La comunità internazionale deve indirizzare i suoi sforzi verso i milioni di iracheni che sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese e fuggire all’estero a causa del conflitto. A cinque anni dall’inizio della guerra in Iraq, Save the Children chiede un impegno concreto per tutte le famiglie e le centinaia di migliaia di bambini che hanno lasciato le proprie case e si sono rifugiato nei paesi vicini, vivendo spesso in condizioni disperate.
Benché non si conoscano le cifre precise dei profughi iracheni, secondo le ultime stime, lo spostamento ha riguardato circa 2 milioni e 400.000 persone fuggite in Siria, circa 400.000 in Giordania e altre centinaia di migliaia sparsi tra Egitto e Libano: senza dubbio l’esodo più imponente che ha riguardato il Medio Oriente dal 1948.
“ Fino ad ora è stato fatto veramente pochissimo per occuparsi dei bisogni dei piccoli profughi iracheni coinvolti in questo massiccio spostamento fuori dall’Iraq” – afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia.
“Molti di questi bambini hanno subito traumi fortissimi, come la morte dei familiari, l’abbandono della propria casa, l’impossibilità di ricevere un’istruzione, la distruzione delle scuole, la disgregazione dei legami familiari e della propria vita quotidiana. È pertanto necessaria una risposta umanitaria rapida, completa e incisiva per assicurare protezione a questi bambini”.
Save the Children, che svolge attività educative formali ed informali rivolte a bambini e ragazzi iracheni che vivono in Giordania e in Libano, invita la comunità internazionale a fornire assistenza immediata e diretta a far fronte ai bisogni sia degli sfollati interni che di quelli che vivono nei paesi limitrofi.
“ I fondi destinati ai profughi iracheni dalle organizzazioni umanitarie e dalle agenzie delle Nazioni Unite non sono sufficienti e sono troppi i bambini che continuano a soffrire - spiega Dennis Walto, capo delle operazioni di Save the Children in Giordania -. Nel frattempo, i Paesi che danno asilo ai profughi iracheni vedono sempre più la loro presenza come possibile causa di collasso per il loro sistema sanitario e scolastico. La ricostruzione dell’Iraq e della vita dei bambini iracheni ha bisogno di tempo ed energie. Ma è una missione che non può essere portata a termine senza i mezzi necessari”.

Le storie

Nada ha 14 anni e arriva da Haijat, vicino a Baghdad. Nada è orfana: i suoi genitori e i suoi due fratelli sono rimasti uccisi in un esplosione, proprio mentre stravano scappando da Baghdad per andare in Siria. Da circa un mese, la ragazza vive nel campo di Qawala, a Sulaymaniyah, con gli zii.
”A Baghdad ho perso la mia stessa vita, insieme a mio padre, mia madre, i miei fratelli e molti amici. Siamo arrivati a Sulaymaniyah dopo circa tre giorni di macchina: c’era poca benzina in giro, per cui siamo stati costretti a dormire in macchina fino a quando non ne trovavamo dell’altra per poter proseguire. La situazione in cui vivo, senza la mia famiglia, è molto triste. Ora che non sto più a Baghdad va meglio, non sento più quelle esplosioni e non vedo più i morti per strada. Vorrei andare a scuola, imparare a leggere e scrivere e spero un giorno di diventare un dottore”.

Maysa ha 22 anni ed è arrivata da Mosul nel campo di Qawala, con i suoi cinque bambini, più di un anno fa, dopo essere scappata dalle violenze del suo quartiere.
”Questa non è vita. Non abbiamo niente. Stiamo qui, seduti nella tenda tutto i giorno, cercando di riparare i nostri bambini dal freddo. Cucino un pasto al giorno e non mangiamo carne dall’ottobre dello scorso anno, quando ci è stata donata da alcune persone gentili. Quando stavamo a Mosul ero in grado di sfamare i miei figli con carne, riso, lenticchie e yogurt. Vorrei tanto poter ritornare alla mia vecchia vita, alla mia amata casa con il bagno e i mobili costosi. Siamo venuti qui solo con i nostri vestiti perché eravamo veramente disperati. Ma a Mosul avevamo tutto, qui i miei figli non possono neanche avere le scarpe o semplicemente dei vestiti puliti.”

Per ulteriori Informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children Italia
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