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Mamme nella crisi: quasi 2 donne su 3 senza lavoro se ci sono 2 figli, 800mila interruzioni di lavoro forzate in 2 anni, inattivo il 36,4% delle donne dai 25 ai 34 anni; pesanti ricadute sui figli con il 22,6% dei minori a rischio povertà

Presentato oggi il dossier “Mamme nella Crisi” di Save the Children alla presenza del Ministro Elsa Fornero e della Vice-presidente del Senato Emma Bonino

Gli effetti della crisi colpiscono le mamme in modo sempre più grave, evidenziando, in Italia, un circolo vizioso che lega il basso tasso di occupazione femminile, l’assenza di servizi di cura all’infanzia, le scarne misure di conciliazione tra famiglia e lavoro e la bassa natalità, con una pesante ricaduta sul benessere dei bambini. La difficile condizione delle madri nel nostro Paese è infatti uno dei fattori chiave che determinano una maggiore incidenza della povertà sui bambini e sugli adolescenti. Sebbene meno visibile di quello dei tassi finanziari internazionali, lo spread relativo al rischio di povertà tra minori e adulti in Italia è infatti pari all’8,2%, con il 22,6% dei minori a rischio povertà contro il 14,4% degli over diciotto (1) .

Questi i principali elementi analizzati, in un’ottica di genere, dal rapporto Mamme nella Crisi di Save the Children, presentato oggi a Roma presso il Senato della Repubblica alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero, e della Vicepresidente del Senato, Senatrice Emma Bonino, in occasione della tavola rotonda organizzata da Pari o Dispare, Save the Children e dalla rivista InGenere.

Le mamme e il lavoro

Se la crisi in corso rappresenta per tutti una strada in salita, lo è ancor di più per le mamme proprio a partire dall’occupazione, che nel 2010 si attesta al 50,6% per le donne senza figli - ben al di sotto della media europea pari al 62,1% - ma scende al 45,5% già al primo figlio (sotto i 15 anni) per perdere quasi 10 punti (35,9%) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3% nel caso di 3 o più figli (2) .

Nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie all’odioso meccanismo delle “dimissioni in bianco”. Le interruzioni del lavoro alla nascita di un figlio per costrizione, che erano il 2% nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l’8,7% del totale delle interruzioni di lavoro (3) . E se la crisi ha confermato il triste record italiano sui tassi di inattività, questo vale soprattutto per la componente femminile, in particolare per quella nella fascia più giovane e in piena età feconda (25-34 anni), che ha riguardato il 35,6% delle donne nel 2010 e il 36,4% nel 2011 (4).

Anche quando il lavoro c’è, la sua qualità, nel caso delle donne, registra un peggioramento: nel 2010 è diminuita l’occupazione qualificata, tecnica e operaia, in favore di quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center (5). Dal punto di vista dell’orario di lavoro, l’incremento fatto registrare negli ultimi anni dal lavoro part-time deve essere letto attentamente, in tempo di crisi, soprattutto per le madri lavoratrici, visto che è dovuto quasi esclusivamente all’aumento del part-time involontario, non scelto cioè come opzione ma accettato per la mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, con una percentuale nel 2010 del 45,9% sul totale dell’occupazione a tempo ridotto, quasi il doppio della media UE27 (23,8%) (6) .

Tra le categorie più vulnerabili di fronte agli effetti della crisi ci sono le mamme di origine straniera, per le quali già all’arrivo del primo figlio si registra un aumento significativo dell’indice di deprivazione materiale dal 32,1% al 37% contro il 13,3% e il 14,9% delle madri italiane (7), e le mamme sole, i cui figli sono i più esposti al rischio di povertà con una percentuale del 28,5% contro il già gravoso 22,8% della media dei minori in Italia (8).

Ma l’orizzonte è scuro anche per le giovani donne che, nel caso in cui non abbiano conseguito la laurea e siano in possesso del solo diploma, fanno i conti con un tasso di occupazione ben inferiore a quello dei coetanei di sesso maschile: 37,2% contro il 50,8% (9). Se buona parte poi dell’andamento dell’occupazione giovanile in questi ultimi 3 anni si deve alla crescita della componente atipica e ai lavoratori a tempo determinato, questo è vero soprattutto per le giovani donne. Una situazione, questa, che pesa sulle chance di rendersi autonome dalla famiglia di origine e di realizzare il desiderio di diventare madri. Dei 3 milioni e 855mila donne fra i 18 e i 29 anni, il 71,4% vive infatti con i genitori (10). E dal 2009 si è interrotto in Italia il trend di aumento dei tassi di fecondità che si registrava dal 1995. Nonostante il contributo demografico delle donne di origine straniera, la nascite annue tra il 2008 e il 2010 sono calate di 15.000 unità (11).

I servizi di cura all’infanzia

Oltre alle difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e di mantenimento dell’occupazione, che rappresentano una reale barriera da superare per le donne, a queste si sommano i problemi legati alla mancanza di reti di cura adeguate in un Paese, l’Italia, che in Europa è tra le nazioni che meno investono sui servizi per le famiglie e i bambini. Nel 2009, la spesa per la protezione sociale per famiglie e minori raggiungeva appena l’1,4% del Pil, rispetto ad una media europea del 2,3%, con la conseguenza di una forte carenza di servizi per la prima infanzia che sono fondamentali non solo per la conciliazione dei tempi familiari e di lavoro delle mamme, ma per la stesso sviluppo educativo e relazionale dei più piccoli. In Italia, infatti, solo il 13,5% dei bambini fino a 3 anni viene preso in carico dai servizi, una percentuale lontanissima dall’obiettivo europeo del 33%, con una forte penalizzazione del sud, dove sono meno di 3 su 100 (2,4%) i bambini che accedono ai servizi in Campania, dieci volte in meno di quelli che ne beneficiano invece in una regione come l’Emilia Romagna (29,5%) (12) .

Se i servizi di cura sono ampiamente insufficienti per favorire inserimento e permanenza della mamme nel circuito del lavoro, il coinvolgimento degli uomini nelle attività di cura parentale lascia decisamente a desiderare. Basta pensare al fatto che il lavoro familiare impegna le giovani donne 5 ore e 47 minuti al giorno, contro 1 ora e 53 minuti dei loro coetanei maschi. Allo stesso tempo, tra i fruitori dei congedi parentali (introdotti con la legge 53 del 2000) nel 2010 solo il 6,9% sono padri (13).

"Assistiamo a un progressivo deterioramento della qualità e della quantità del lavoro femminile. La crisi aggrava il carico delle donne, che non solo devono fare quadrare i bilanci familiari in totale assenza di servizi di assistenza e cura, ma anche provvedere agli acquisti per l’igiene nelle scuole dei propri figli. La scarsità di risorse imporrebbe la concentrazione di quelle esistenti per potenziare i servizi alla persona, evitandone la dispersione in infiniti capitoli di bilancio", ha dichiarato Emma Bonino, vicepresidente del Senato e presidente onoraria di Pari o Dispare.

“La crisi non può e non deve essere un alibi per non affrontare subito le difficoltà specifiche e i divari di genere che ricadono sulle mamme e inevitabilmente sulla condizione dei loro figli, come emerge chiaramente nei dati del dossier Mamme nella Crisi di Save the Children,” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children.

“Inserimento e permanenza delle mamme nel mondo del lavoro sono elementi imprescindibili, perché non si può chiedere ad una donna di scegliere tra lavoro e maternità come se fossero percorsi di vita inconciliabili. Il rafforzamento della rete dei servizi di cura, poi, rappresenta non solo un presupposto necessario per l’accesso al lavoro delle attuali o future mamme ma anche una spinta allo sviluppo stesso dell’occupazione femminile. Perché si possa determinare un vero cambiamento di rotta, bisogna tenere conto prima di tutto delle aree specifiche di vulnerabilità che il dossier mette in evidenza, come le mamme di origine straniera, quelle che vivono nelle regioni del sud e le mamme sole con bambini, ma anche e forse soprattutto le giovani donne che si affacciano oggi al mondo del lavoro in mezzo a mille difficoltà.”

La campagna Ricordiamoci dell’Infanzia

Gli effetti della crisi sulla condizione delle madri non fa che aggravare ulteriormente la situazione già critica nella quale versano bambini e adolescenti in Italia, un Paese smemorato, nelle mani degli adulti, che si è dimenticato dell’infanzia.

Save the Children ha lanciato lo scorso maggio “Ricordiamoci dell’Infanzia”, una nuova campagna in aiuto all’infanzia a rischio in Italia. Rivolta prima di tutto al Governo, la campagna ha coinvolto singoli cittadini, imprese e il mondo della cultura e dell’informazione, con attività di informazione, sensibilizzazione e mobilitazione, formulando proposte di intervento concrete e sostenibili dal punto di vista finanziario, anche in tempi di crisi, perché si possa attivare subito un piano nazionale di lotta alla povertà minorile.

L’Organizzazione ha chiesto già nei mesi scorsi una “golden rule infanzia”: le risorse necessarie per attuare questo piano strategico di contrasto alla povertà minorile non devono essere considerate una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano e sullo sviluppo. Quattro i pilastri delle misure anti-povertà che Save the Children ha proposto al Governo, alcune delle quali hanno un impatto anche sul mercato del lavoro: interventi per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema, come ad esempio la previsione di ulteriori sgravi fiscali per ogni figlio a carico o di voucher per l’acquisto di beni essenziali; servizi per il sostegno della genitorialità, quale un piano di investimenti straordinari per gli asili nido, per la creazione di ulteriori 370.000 posti entro il 2020; misure di sostegno al lavoro femminile e per favorire la conciliazione fra lavoro e famiglia, quale l’istituzione di un fondo di garanzia per mamme imprenditrici per favorirne l’accesso al credito; e infine la previsione di una valutazione di impatto sull'infanzia di ogni nuovo provvedimento legislativo.

Save the Children, che opera da anni in Italia a favore dell’infanzia, dal 2011 ha avviato un programma quinquennale che prevede il rafforzamento delle attività nel nostro Paese, con interventi nel settore della povertà minorile, della protezione dei minori a rischio di sfruttamento - come i minori stranieri non accompagnati -, dell’educazione e della scuola, dell’uso delle nuove tecnologie, della tutela dei minori nelle emergenze come avvenuto in occasione dei terremoti in Abruzzo e in Emilia.

Il rapporto Mamme nella Crisi è scaricabile alla pagina: www.savethechildren.it/pubblicazioni

 

NOTE:
1) Il Paese di Pollicino, Save the Children 2012 - elaborazione dei dati della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane realizzata per Save the Children dai ricercatori Monica Montella e Franco Mostacci, esperti di analisi in campo socio-economico
2) Mamme nella Crisi, Save the Children 2012 – pag.11, fig.3
3) Ibidem – pag.26 e 27, fig.6
4) Ibidem – pag.25, fig.5
5) Ibidem – pag.24
6) Ibidem – pag. 30 e 31, fig.9
7) Ibidem –pag.35, fig.12
8) Il Paese di Pollicino, Save the Children 2012 - elaborazione dei dati della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane realizzata per Save the Children dai ricercatori Monica Montella e Franco Mostacci, esperti di analisi in campo socio-economico.
9) Mamme nella Crisi, Save the Children 2012 – pag.32
10) Ibidem – pag.32
11) Ibidem –pag.22
12) Ibidem –pag.18, tab.3
13) Ibidem –pag.33 e pag.13


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