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Voci dei volontari: "Piantiamo semi, aspettando che crescano alberi"

Un nostro volontario ci racconta la sua esperienza nelle scuole, dall’organizzazione di attività come il Christmas Jumper Day agli eventi per la settimana di mobilitazione della Campagna “Illuminiamo il Futuro”. Tanti pezzi di un puzzle sempre in costruzione, con l’opportunità di portare un reale cambiamento e di costruire comunità educante.

La prima volta che mi è capitato di parlare dell’argomento scuole è stato in treno. Più precisamente, durante il viaggio di ritorno da un incontro di formazione svoltosi a Roma. Ormai era sera, era arrivato quel momento in cui il sole è calato da un pezzo, nei vagoni non ci sono quasi più passeggeri e tu puoi parlare di qualsiasi cosa con il tuo compagno di viaggio, che in quel caso era Agnese, che mi ha seguito sin dal mio ingresso nel fantastico mondo di Save the Children.

Si discuteva delle possibili azioni da intraprendere con i nostri gruppi di volontariato: raccolta fondi, sensibilizzazione, eventi pubblici, insomma, c’era molta carne al fuoco. Finché Agnese, sapendo che eravamo un gruppo di giovanissimi, quasi tutti con esperienze o lavori che ci hanno portato a stare a contatto con bambini e ragazzi, mi propose: “Perché non vi occupate delle scuole? Vi vedo bene a stare assieme ai ragazzi”. Questa è stata la molla che mi ha spinto a entrare nel mondo delle scuole.

Ne ho parlato subito con i ragazzi del gruppo, entusiasti anche loro ma subito con un primo dubbio: come avremmo fatto a entrare negli istituti scolastici? Non potevamo presentarci senza un progetto o un’idea di cosa fare.

Fortunatamente, Save the Children ci è venuto inconsapevolmente in soccorso con il Christmas Jumper Day: tre parole che per noi sono state la chiave d’accesso al mondo delle scuole. Il 16 dicembre dell’anno scorso ogni gruppo ha realizzato qualcosa per quella data.

Nei mesi precedenti eravamo riusciti a organizzare degli eventi per la settimana di mobilitazione della campagna “Illuminiamo il Futuro”, cui avevano partecipato alcune classi, per cui eravamo almeno conosciuti. Ma non nascondo che quando mi sono presentato davanti la dirigente scolastica di uno dei due circoli didattici della nostra città, non mi aspettavo l’apertura che ho trovato. Immaginavo che avrei dovuto aspettare almeno un mese per parlare con i docenti. Invece, tempo una settimana, ero seduto di fronte al collegio dei coordinatori interclasse, ad esporre l’idea del Jumper Day.

In quei frenetici giorni in cui i maestri organizzavano l’evento iniziai a intravedere qualcosa. Riuscivo a percepire la felicità delle maestre, alle prese con la preparazione dei maglioni. La loro voglia di mettersi in gioco, di ritornare un po’ ragazze anch’esse, scherzando fra loro su chi avrebbe preparato il maglione più natalizio. Anche i bambini sono rimasti colpiti dalla cosa. Ogni tanto andavo nelle classi per parlare con le insegnanti, e quei momenti in cui gli alunni osservano la propria maestra parlare con uno sconosciuto sono stati i primi in cui abbiamo stabilito un contatto, che si è poi concretizzato il giorno dell’evento.

Il giorno prefissato, io e altri due volontari, Elio e Federico, siamo arrivati in una piazza inizialmente deserta. Stavamo montando il banchetto quando da lontano abbiamo intravisto la colonna dei ragazzi delle scuole medie. Nel giro di cinque minuti la piazza si è riempita di circa cinquecento ragazzi, una cinquantina d’insegnanti, un vigile urbano, tre operatori sanitari, tre volontari. È stato esaltante vedere la gioia negli occhi dei bambini e ragazzi che erano con noi quel giorno. Le risate dei bambini più piccoli nel fare girotondi, i sorrisi delle maestre, anch’esse vestite con i loro maglioni. L’orgoglio dei ragazzi più grandi, scelti per fare un video di chiusura dell’evento.

Un puzzle sempre in costruzione

Le maestre, entusiaste del lavoro fatto, hanno voluto dare continuità alla nostra presenza a scuola, mantenere intatto quel filo che avevamo intrecciato con ragazzi e insegnanti. Abbiamo quindi organizzato alcuni incontri sui minori migranti, proposti alla scuola media e alle classi quarte e quinte elementari.

Abbiamo riproposto anche quest’anno delle attività in occasione della campagna “Illuminiamo il Futuro”: laboratori di storytelling, tornei sportivi, corsi di fotografia ecc. Strada facendo, ho capito che qualcosa era cambiato. I ragazzi facevano domande, erano assetati di conoscenza. Volevano capire perché il mondo va in questo modo e noi riuscivamo a dare loro alcune risposte.

Ma questo è stato solo uno dei tanti pezzi di un puzzle in costruzione: capisci che qualcosa è cambiato quando uno dei tuoi volontari ti confessa che gli sarebbero mancati gli incontri del venerdì mattina per parlare dei minori migranti ai ragazzi, o quando gli insegnanti ti confidano che è bello vedere l’energia con cui si dialoga con gli studenti. Capisci che qualcosa è cambiato quando passeggi per strada e i ragazzi con cui hai svolto un’attività a scuola ti salutano o quando un bambino, dopo un laboratorio di storytelling, sul suo aeroplano di carta per “Illuminiamo il Futuro” scrive che il suo sogno è diventare come i volontari di Save the Children. Allora metti insieme tutti i pezzi del puzzle che hai composto in questi mesi, e capisci che stai lasciando dei semi. Lavorare nelle scuole ci sta dando l’opportunità di portare un cambiamento. Piantiamo semi, aspettando che crescano alberi