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Gaza, questa non è vita - La festa Eid ul-Fitr ieri e oggi

La testimonianza di Karl Schembri, Media Manager Regionale per Save the Children in Medio Oriente, che ha trascorso 4 anni a Gaza dal settembre 2009 al dicembre 2013. La prima volta che arrivai a Gaza, nel settembre 2009, era la fine del Ramadan e l’inizio dell’Eid al fitr, la seconda festività religiosa più importante della cultura islamica. I bambini giocavano nelle strade chiedendomi di fotografarli, la gente usciva a fare compere, a trovare i parenti. La distruzione lasciata dagli attacchi israeliani con l’Operazione Piombo Fuso del dicembre 2008 era ancora tutta lì; Gaza stava lottando per riprendersi, ma questa atmosfera ancora presente offuscava tutto il resto. La vita continua, ho pensato, perché è la vita ciò che i bambini palestinesi e le loro famiglie desiderano ardentemente. Questo è quello che ho pensato anche nel novembre 2012 quando i combattimenti, ancora una volta, sono aumentati. Proprio quando i miei colleghi hanno evacuato in tutta fretta, ho sentito il venditore di uova con il suo asino che faceva il suo giro, gridando le solite frasi e la gente che veniva a comprare uova fresche, come se niente stesse accadendo. Ma tante cose stavano accadendo. Le notti peggioravano, Gaza era colpita dai missili lanciati dalla marina israeliana al largo, missili che sentivo sfrecciare sopra la testa verso il cuore della città, l’artiglieria bombardava la striscia da nord, i caccia e i droni sganciavano le loro bombe.  Nonostante il freddo di novembre, dovevamo tenere le finestre aperte per evitare la rottura dei vetri durante le esplosioni. La terra tremava a causa di alcune bombe che detonavano alcuni metri sottoterra creando enormi crateri. Meno di quattro anni dopo l’Operazione Piombo Fuso, Gaza sta ancora ricostruendo le macerie – nella maggior parte dei casi grazie agli aiuti stranieri – ed ora la stanno distruggendo nuovamente. L’inesorabile rumore dei droni che ronzano minacciosamente sopra la testa 24 ore al giorno fa sembrare che ci sia  una fabbrica al piano di sopra. gaza_20130807Mentre scrivo – questa volta da Amman – quelle strade che ho visto la prima volta a Gaza durante la Eid sono appena riconoscibili alla televisione, prese a pugni ancora una volta dalla forza militare israeliana. Nella strada dove ho vissuto quattro anni, un’intera famiglia è stata spazzata via. Recenti foto mostrano che i quartieri di Al Shajaiya e Khuzaa sono stati pesantemente danneggiati. Non ci sono più bambini che giocano in quelle strade in questa Eid; quelli che sono ancora vivi temono per le loro vite. Molti posti sono vulnerabili agli attacchi in questa sottile striscia, come le case, gli ospedali e le scuole bombardate. Un bambino palestinese è ucciso ogni ora. Ogni bimbo di sei anni sta vivendo la terza guerra della sua vita. A parte il rischio che corrono di essere feriti o uccisi, non si può nemmeno immaginare cosa significhi tutto questo per la loro salute mentale e per il loro benessere nel lungo periodo. Dall’altra parte i bambini israeliani devono scappare nei rifugi ogni volta che sono sotto gli attacchi dei missili. Il suono regolare delle sirene diffonde panico e paura, ma almeno ci sono ripari sicuri dove le famiglie e i bambini possono rifugiarsi. Tutte le persone con cui parlo di Gaza mi dicono che c’è un bisogno disperato del cessate il fuoco e che le cose non potranno più tornare indietro a com’erano prima del blocco che ha reso la vita impossibile a Gaza. Nonostante le promesse del 2012 per migliorare la situazione, Gaza era in realtà più isolata che mai anche prima di quest’ultimo conflitto, in quanto i tunnel che la collegavano all’Egitto e permettevano l’approvvigionamento quotidiano di beni essenziali erano stati distrutti. A Gaza, anche prima del recente conflitto, la vita era impossibile e le quotidiane interruzioni di corrente di 8 ore significavano che Gaza aveva meno di 12 ore di energia al giorno, Gaza è rimasta quindi tagliata fuori dal resto della Palestina; ai palestinesi era impedito visitare i loro parenti dall’altra parte dei territori. Alla mia ex padrona di casa, Israele aveva rifiutato la possibilità di recarsi in Cisgiordania per ricevere le cure necessarie a curare il cancro al seno.  Le forze israeliane sparano ai pescatori che si avvicinano al limite delle 3 miglia  marine imposte; i costruttori non hanno più materiale per terminare i lavori, migliaia di palestinesi hanno perso il loro precario lavoro e più dell’80 percento dipende dagli aiuti umanitari. Questa non è vita. Per questo è così importante che questa Eid sia segnata dalla fine delle violenze e sofferenze. Ma, oltre all’immediato cessate il fuoco – per assicurare che questi bambini di sei anni abbiano un futuro – una soluzione sostenibile richiede un accordo tra le parti per mettere fine al blocco di Gaza e costruire le basi per una pace a lungo termine. Save the Children lavora in modo indipendente e imparziale in tutto il mondo, ovunque ci sia bisogno. Save the Children sta lavorando a Gaza e in Cisgiordania. Come organizzazione globale, Save the Children è altrettanto preoccupata per il benessere dei bambini in Israele, come quelli in Cisgiordania e Gaza, e sostiene la fine della violenza contro entrambi i popoli.