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Scuola del futuro, le proposte degli studenti

Mascherina, guanti e matite sopra un libro scolastico aperto. Sullo sfondo un giardino

Come dovrebbe essere la scuola del futuro? Interrogare gli studenti e le studentesse sulle aspettative che hanno rispetto alla propria istruzione scolastica significa calarsi nella loro realtà, quella che vivono ogni giorno entrando in aula al suono della campanella.

La scuola del futuro, un progetto per raccontarla


Le ragazze e i ragazzi hanno accolto la proposta di raccontare con la scrittura e le immagini i propri pensieri, le sensazioni del periodo del lockdown, per immaginare la scuola del futuro dopo aver vissuto l’esperienza della didattica a distanza, ma anche per dare qualche consiglio agli adulti su come costruire una scuola e una società migliori.

All’interno di una delle attività del progetto Futuro Prossimo, finanziato da Impresa Sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, è nata quindi la pubblicazione “Caro Futuro”, per dare voce alle riflessioni e al punto di vista di ragazzi e ragazze di Marghera, Napoli e Sassari che hanno partecipato durante i mesi di lockdown per l’emergenza Covid -19 ai laboratori proposti dal progetto.

La scuola che vorrei


Nelle lettere raccolte all’interno della pubblicazione, ragazze e ragazzi hanno immaginato di scrivere al proprio io del futuro, per ricordare i mesi di questa emergenza ma anche per esprimere le aspettative sul futuro della scuola e della società in generale.

Ecco un estratto di uno di questi scritti, sul tema “La scuola che vorrei nel futuro”.

“Quanto sarebbe bella una classe davvero unita, nella quale la diversità fosse ricchezza e dagli errori si imparasse per davvero?! Nella quotidianità non è così. C’è puntualmente qualcuno che viene emarginato per qualche caratteristica non conforme al resto della classe, o anche solo per difetti fisici. La scuola proprio qui deve intervenire e deve riuscire a non alimentare questi atteggiamenti e ad eliminare del bullismo.

Nella scuola che vorrei le differenze andrebbero valorizzate, invece quel che capita ora è di aver paura a esprimere un parere diverso dalla maggioranza per timore di risultare “diverso” o addirittura “sbagliato”. Per paura di essere considerato strano, per non ricevere critiche o giudizi affrettati da parte di chi si limita a guardare solo in superficie. Bisogna indurre anche chi è più in difficoltà a far valere le proprie idee perché ognuno è speciale a modo proprio.

Vorrei, inoltre, una scuola nella quale non ci si annoia mai. Vorrei che non ci fossero le classiche lezioni standard nelle quali il docente spiega e gli alunni ascoltano. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di innovazione, di stimoli sempre nuovi, perché a questa età abbiamo fame di sapere, di studiare, di meravigliarci.

I metodi di insegnamento dovrebbero essere originali, dinamici, basati sulla concretezza e con esempi di vita quotidiana per rendere anche gli argomenti più seri sempre vicini a noi, sempre attuali.

La cosa che più mi è mancata in questi mesi di quarantena è stato il contatto fisico e visivo. A volte si tende a minimizzarlo, a non dargli tanto valore. Mai come in questo periodo ci si è accorti che è la cosa principale per svolgere un buon lavoro e per rendere il gruppo classe coeso. È stato difficile nelle lezioni online adattarci all’assenza del contatto visivo.

La tecnologia è un grande beneficio per tutti, ma una cosa è certa: in nessun caso può sostituire il calore di due persone che si abbracciano e scambiandosi uno sguardo complice si sono già dette tutto.

La scuola è un luogo di formazione e qui trascorriamo gran parte del nostro tempo. Non impariamo solo dai libri ma, come delle spugne, assorbiamo tutto ciò che questo ambiente ci offre. È essenziale essere spensierati e sentirci a nostro agio poiché, anche se ora non ci facciamo caso, i momenti stupendi che viviamo nelle nostre aule sono irripetibili e saranno impressi nel nostro cuore per sempre”.

Avere accesso a pensieri e aspettative di ragazze e ragazzi è una fortuna, ma significa anche avere la responsabilità di ascoltare le loro voci e impegnarsi a tenere presente le loro esigenze nella costruzione del futuro.

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