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#Volontarincampo: i sorrisi dei piccoli rifugiati sono un messaggio di speranza per il futuro

L'esperienza vissuta dai nostri volontari in campo impegnati ad aiutare i minori rifugiati e migranti in Grecia

L'esperienza vissuta dai nostri volontari in campo impegnati ad aiutare i minori rifugiati e migranti in Grecia, sull'isola di Lesbo, è stata ricca di emozioni e sensazioni forti.

Al loro rientro in Italia abbiamo raccolto le toccanti testimonianze di chi ha desiderato raccontarci le impressioni di questo percorso e oggi, dopo aver condiviso con voi qualche giorno fa le impressioni di Carmen, vogliamo riportarvi le riflessioni di Michele che descrivono profondamente la situazione di tante piccole vite sull'isola greca. 

Ci sono luoghi del mondo che nella vita ci capita di abitare, luoghi dove bombardamenti, naufragi e quotidiane violazioni dei diritti umani smettono di essere resoconti di instabili contesti medio-orientali o fatti di cronaca che suscitano indignazione e frustrazione.

Sono luoghi e contesti dove si ha l’occasione di condividere le proprie giornate con i protagonisti e le vittime di quei tragici eventi. L’isola greca di Lesbo, distante pochi chilometri dalla costa occidentale turca, è uno di questi luoghi.

L’isola, come è noto, è uno dei principali luoghi di approdo dei flussi di migranti e rifugiati in fuga da guerra e miseria.

La prospettiva attraverso la quale si leggono quei “fatti di cronaca” da Lesbo cambia radicalmente. Si diventa osservatori privilegiati e per una volta, nonostante tanta sofferenza provochi un carico di rabbia difficile da sopportare, si ha la possibilità di fare qualcosa di concreto, di migliorare anche solo per qualche ora la vita di queste persone.

Sull'isola greca arrivano migliaia di persone ogni settimana: siriani, iracheni, afghani, popoli che scappano da guerre e violenze; ma arrivano anche somali, marocchini, algerini, iraniani e libanesi, che scappano da miseria e mancanza di opportunità.

A Lesbo “sbarcano” maschi adulti soli, famiglie, anziani, bambini non accompagnati, disabili, poveri e indigenti e persone appartenenti alla classe media. La guerra in questo non discrimina. Tutti e tutte in viaggio con il sogno di un futuro migliore e più dignitoso per loro e per le loro famiglie.

Nei campi profughi di Lesbo si interagisce con le preoccupazioni di queste persone, la loro rabbia, la loro angoscia e queste diventano anche le tue. Quello che balza subito agli occhi però è l’estrema cortesia, il rispetto e la fiducia che queste persone mostrano nei confronti del prossimo. La dignità con la quale un padre di cinque bambini appena arrivato a Lesbo si posiziona in fila nel campo profughi per ritirare un pasto caldo.

La dovizia con la quale le persone si lavano nei precari bagni di questi campi, con la quale gli uomini si rasano e le donne si pettinano. Un aspetto questo di cui parlava anche Primo Levi: la necessità di continuare a farsi la barba, di tenersi puliti anche in una situazione difficile e umanamente insopportabile come quella, per non dimenticarsi mai, nemmeno per un istante, di essere uomini e donne, di preservare la propria dignità e umanità.

Save the Children in questi luoghi di estremo “bisogno” aiuta a combattere la rassegnazione, lo sconforto e la disperazione fornendo alcuni servizi di prima necessità, tra questi vi è anche il gioco.

È infatti noto come gioco e sport possano essere per i bambini un potente mezzo di sollievo da traumi, paura, tristezza, scoramento. Il modo attraverso il quale Save the Children garantisce il diritto al gioco nei campi profughi di Lesbo è l’allestimento di spazi protetti per i più piccoli dove questi possano, accompagnati da adulti preparati, giocare e rilassarsi.

Gli Spazi a Misura di Bambino rappresentano un incredibile messaggio di amore, speranza e pace. Non solo perché lì si cerca di garantire alcune ore di svago, gioco e spensieratezza a bambini e adolescenti sfiniti da giorni di viaggio e traumatizzati dagli orrori della guerra. Giornalmente attorno a questi spazi si radunano infatti anche numerosi adulti oltre ai genitori dei bambini.

Probabilmente incuriositi dalle strilla e dalle risate che partono da quel piccolo spazio delimitato e si diffondono in tutta l’area circostante. Vengono a capire che mai potrà accadere di tanto divertente in un campo profughi. Che cosa ci sarà da ridere in quel “non luogo”. Si sistemano sulla collinetta antistante e osservano divertiti quello che accade.

Ebbene io credo che i sorrisi di quei bambini, la loro estrema voglia di giocare, siano un messaggio di speranza fortissimo, anche per quegli adulti. Immagini di gioia, divertimento, felicità, in uno dei luoghi più infami che possano esistere per un bambino. In barba ai guerrafondai, in barba ai signori della guerra.

È dalla resilienza, il super potere che hanno i bambini che tutti dovremmo imparare. Da lì ripartire. Ridere, giocare e sperare in un momento nel quale non c’è davvero niente da ridere. Vinceremo noi. “Ci vuole una motivazione forte, credere che si può dare un contributo, anche se non può cambiare il mondo”.

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Leggi la testimonianza di Carmen