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Ad Ali Spiegate: il nostro intervento per le vittime di violenza domestica e assistita

Donna con i capelli legati fotografata solo di spalle

La violenza domestica può avere effetti gravi sulle donne e i loro figli e figlie che ne sono vittime. Le conseguenze psicologiche della violenza possono essere affiancate a quelle di tipo materiale: la fase del reinserimento sociale in autonomia, sia che arrivi dopo un percorso di protezione sia che si sviluppi come diretto allontanamento dal partner maltrattante, è infatti spesso ostacolata da fattori economici e sociali. 

È quindi fondamentale, al fine di recuperare spazi di libertà e benessere, che le donne e i loro figli/e che sopravvivono alla violenza, possano accedere a interventi di supporto sia dal punto di vista psicologico ed emotivo, che materiale e abitativo. 

“Ad Ali Spiegate”: un intervento integrato

Il nostro programma “Ad Ali spiegate”, propone un intervento integrato di contrasto alla violenza di genere, domestica e assistita, implementato in collaborazione con i partner territoriali, come centri antiviolenza e case rifugio. Tra le varie azioni previste dal programma, è inclusa l’erogazione di doti rivolte ai nuclei mamma-bambino/a

Le doti sono strumenti di caring estremamente flessibili, cuciti su misura sui bisogni del nucleo e possono essere improntati a:

  • l'autonomia e l'empowerment della donna (doti di autonomia),
  • l’accesso del nucleo ad esperienze positive e di crescita, per migliorare sia il benessere personale di bambini, bambine e delle loro mamme, sia la relazione mamma-bambino/a secondo il principio che il benessere di un singolo membro del nucleo si riverbera necessariamente anche sull’altro (doti psicoeducative), possono essere interventi centrati sul gioco e sulla socializzazione (dote ludico-ricreativo),
  • il recupero e potenziamento delle competenze e dei talenti personali (doti formative). 

Oggi vorremmo raccontare la storia di un percorso che si è potuto realizzare grazie alla sinergia creata insieme a uno dei nostri partner territoriali. Si tratta della storia di Nina e Nicoletta (nomi di fantasia per garantire la riservatezza delle informazioni personali).

La storia di Nina e Nicoletta

Nicoletta, e sua figlia Nina di 7 anni, sono state ospiti presso la casa rifugio di uno dei partner territoriali con cui collaboriamo, dopo essersi allontanate dalla casa familiare per avviare il proprio percorso di liberazione dalla violenza. 

Nicoletta ha iniziato a subire violenza da parte del compagno subito dopo essere rimasta incinta di Nina. Nella sua quotidianità svalutazioni, insulti e minacce erano all’ordine del giorno, tanto da portare Nicoletta ad aver paura di uscire di casa anche soltanto per accompagnare la figlia a scuola. La violenza psicologica si manifesta proprio così, nella costante svalutazione che mina, ogni giorno di più, l’autostima della donna.

In alcune occasioni l’uomo aveva anche agito violenza fisica su di lei. Nei giorni successivi agli episodi, Nina, che apparentemente non aveva visto/udito l’episodio, sviluppava un fortissimo attaccamento a sua madre, tanto da non volerla lasciare neppure per recarsi a scuola. La violenza assistita infatti, può sussistere non soltanto quando un bambino o una bambina assistono in maniera diretta agli episodi di violenza, ma anche quando ne percepiscono gli effetti che lascia dietro sé.

Nicoletta inoltre, che proviene originariamente da un paese extra-europeo, non è mai riuscita a far riconoscere il suo titolo professionale in Italia, prima per l’ostacolo della lingua, poi per la maternità, poi per il Covid. Il marito le ha sempre detto che non doveva affrettarsi, che avrebbe pensato lui a tutto e Nicoletta si è lasciata convincere, fino ad accorgersi di vivere una vita isolata dalla comunità e totalmente dipendente dal marito dal punto di vista finanziario. La violenza economica è spesso invisibile e mascherata da un “sessismo buono” che attecchisce sugli stereotipi di genere presenti in ognuno ed ognuna di noi.

Ma Nicoletta, grazie ad una delle rare occasioni di confronto con il mondo esterno, con una delle mamme di una compagna di classe di Nina, è riuscita a rompere il muro del silenzio e fare luce su ciò che viveva in casa ed è così che si è attivata la rete di sorellanza che l’ha condotta a chiedere aiuto al centro antiviolenza prima, ad essere ospitata insieme a sua figlia nella casa rifugio poi.

Qui ha ricevuto il supporto psicologico e legale di cui necessitava, nonché una consulenza sul curriculum e le competenze, grazie alla quale ha potuto avviare il procedimento del riconoscimento dei titoli universitari conseguiti nel suo paese d’origine.

Ma il vero ostacolo alla ripresa della quotidianità erano le conseguenze sul benessere psicologico di mamma e figlia e sulla loro relazione che la violenza aveva lasciato dietro sé. 

Le operatrici della casa rifugio, che hanno avuto uno sguardo privilegiato e continuativo sulla situazione, hanno valutato di attivare una dote psicoeducativa a favore di Nicoletta e della sua bambina: partecipare agli incontri di sostegno alla genitorialità del Circolo della Sicurezza – Parenting (COS-P).

un percorso di uscita dalla violenza


Questo programma di sostegno alla genitorialità ideato da Cooper, Hoffman, Marvin e Powell nel 1998 segue un protocollo validato, dove, attraverso un percorso di 8 incontri della durata di un’ora e mezzo, si lavora con la coppia genitoriale o col singolo genitore (come in questo caso) per arricchire la relazione col proprio bambino/a. L’obiettivo è aiutare il genitore a comprendere il mondo emotivo del/la bambino/a, leggendo i reali bisogni che manifesta e gestendo correttamente le sue emozioni. Il percorso, corredato di esercizi ed esempi molto pratici, è volto ad aiutare il genitore ad identificare quali sono le amozioni più critiche che lui/lei stesso/a prova, in quanto queste possono interferire nel rapporto con il/la figlio/a. 

A detta di Nicoletta, il percorso l’ha aiutata a comprendere le insicurezze rispetto a se stessa e alla genitorialità, costantemente svalutata dal compagno, che aveva generato in lei la relazione violenta, riuscendo a spostare il focus dal proprio dolore a quello della figlia. Gli esercizi pratici, gli esempi l’hanno aiutata a capire che non era sola e che, così come era finita nella spirale della violenza, poteva scegliere di uscirne. Perché la violenza non finisce quando si allontana dalla casa familiare, ma necessita di un percorso per riappropriarsi di sé e di tutto quello che la violenza ha espropriato.

Oggi la relazione tra Nicoletta e Nina è visibilmente cambiata, entrambe sono più serene e più sintonizzate sul presente, anziché sui propri dolori passati. Nina ha ricominciato ad andare in una nuova scuola, dove si sta ambientando, e Nicoletta sta partecipando a vari colloqui di selezione, con l’obiettivo, appena troverà un lavoro, di trasferirsi insieme a Nina in una casa che sia tutta loro, dove non dovranno avere paura.

Per approfondire leggi gli articoli:

"Violenza psicologica da partner intimo: cos'è e come si manifesta"

"I segnali della violenza domestica e come riconoscerli"

"Cos'è la violenza assistita e come riconoscerla"

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