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Emergenza Siria: le promesse false degli scafisti alle mamme siriane

Nonostante l'emergenza in Siria sia iniziata nel marzo del 2011, è soltanto nel 2013 che i siriani iniziano ad arrivare numerosi in Italia via mare, affrontando le onde del Mediterraneo a bordo di imbarcazioni fatiscenti, rischiando la loro vita e quella dei loro bambini. Ne abbiamo incontrati molti e fra questi Olfat, una mamma a cui gli scafisti avevano promesso un viaggio molto diverso da quello che ha fatto.  

Nel 2012 i siriani arrivati via mare in Italia, principalmente lungo le coste siciliane, erano  soltanto 582, di cui 69 donne e 120 minori (56 accompagnati da uno o entrambi i genitori e 64 soli), pari a circa il 4,5% del totale dei migranti arrivati via mare durante tutto il 2012 (13.267). La Siria era comunque già al secondo posto (dopo l’Afghanistan) tra i Paesi da cui proveniva il maggior numero di minori in nucleo familiare: bambini e bambine siriani rappresentavano già il 20% del totale dei minori migranti in nucleo familiare, mentre la percentuale di minori non accompagnati siriani corrispondeva soltanto al 3,5% del totale dei minori migranti non accompagnati (i principali Paesi di provenienza dei quali erano Afganistan, Somalia ed Egitto). Dopo ottobre 2013, mese segnato da 2 importanti tragedie del mare, una delle quali ha coinvolto proprio migranti originari della Siria, il numero degli arrivi di siriani via mare si è ridimensionato: tra novembre 2013 e marzo 2014 sono arrivati sulle coste italiane ogni mese mediamente 385 migranti siriani. I profughi siriani che arrivano in Italia appartengono alla classe media e arrivano nel nostro paese dopo essere scappati dalla Libia. Olfat, 40 anni, è la madre di 4 figli di 18, 14, 6 e 3 anni ed è arrivata in Italia dopo un viaggio che descrive come il più brutto della sua vita.

Ci avevano detto che il viaggio sarebbe stato confortevole, che nella barca avremmo trovato bagno e cucine, latte in polvere per bambini, ma poi ci hanno salire su un barcone vecchio dove eravamo tutti all’aperto. I bambini avevano i panni bagnati perché erano caduti in acqua mentre ci facevano salire a forza sul barcone. Alcuni non sono caduti accidentalmente, ma sono stati buttati in acqua, appositamente, dagli scafisti. Non capisco perché, forse volevano spaventarci, volevano che facessimo tutto quello che ci dicevano. L’attesa prima dell’arrivo dei soccorsi delle autorità italiane è stata lunghissima, 8 ore. 8 ore in cui più di 40 bambini hanno pianto e vomitato. Erano intirizziti dal freddo per via dei panni bagnati. Noi mamme non riuscivamo a scaldarli. Questi sono i momenti in cui una madre si sente inutile e si maledice. Così abbiamo iniziato a pregare, tutti insieme. Durante il viaggio, siamo rimasti senza cibo, gli scafisti ci avevano detto di non portare da mangiare perché ce lo avrebbero dato loro, se ognuno di noi avesse portato ciò che voleva avremmo appesantito la barca. Poi però ci hanno dato solo dei succhi di frutta... Gli uomini facevano la pipì in piedi ma le donne, non possono mica spogliarsi, ce la siamo dovuta fare addosso. Quaranta ore in mare, tanto è durato il viaggio prima che arrivassero i soccorsi italiani. Sono grata all’Italia.

Dice Olfat col suo inglese fluente, un tempo, in quella vita normale che aveva prima di lasciare la Siria, insegnava la lingua di Shakespeare.

Quando siamo sbarcati, Fadi il mio figlio piccolo, aveva la febbre a 39 e mezzo. Ho vissuto due giorni di angoscia era in pessime condizioni, ma poi è stato visitato da un medico italiano che gli ha dato degli antibiotici, me ne sono fatta dare di più per avere una scorta, partiremo presto per la Norvegia, andiamo da mio fratello che vive lì da vent’anni. Siamo scappati perché mio marito aiutava i feriti dei combattimenti, a lui non importava l’appartenenza politica, se gli portavano un ferito da curare lui faceva il suo dovere e basta.  Finché un giorno siamo stati minacciati, siamo scappati, non potevamo fare altrimenti.

Alla fine del nostro incontro Olfat ci ha lasciato una lettera in arabo, di seguito il contenuto.

Proverò a sintetizzare la nostra storia, quella dei profughi siriani, in poche parole, anche se forse non sono abbastanza. La nostra storia è iniziata con la parola “libertà”. Questa parola però non ha generato l’effetto desiderato dalla gente, ma ha distrutto case e città. E noi come profughi non sappiamo dove stiamo andando e in quale posto andremo a finire. Questa parola, “libertà”, ha prodotto bambini nudi e affamati. La storia è una storia di potere, una partita per le “poltrone”, non è una questione di vita o di morte della gente comune. Abbiamo lasciato la Siria scappando da chi vuole solo rimanere attaccato al potere e da chi questo potere lo contesta entrando nei quartieri senza uscirne prima di renderli un mucchio di macerie. La mia storia è quella di ogni siriano rifugiato che ha dovuto lasciare il suo paese, le sue origini, per finire nell'ignoto. Mentre il mondo, cieco, si gira dall'altra parte per non vedere la nostra sofferenza.