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Afghanistan: le donne tagliate fuori dagli aiuti

donna afghana ch guarda al di fuori della finestra

A quasi due mesi dal decreto emanato dai talebani che vieta alle donne afgane di lavorare per organizzazioni non governative (ONG), molte donne e bambini sono tagliati fuori dagli aiuti salvavita.

Da alcuni racconti, veniamo a conoscenza delle privazioni nei confronti di vedove e le donne single. Ci riferiscono di non poter accedere agli aiuti e che spesso sono trascurate dalle squadre umanitarie, formate da soli uomini, o perché non hanno un familiare maschio che ritiri per loro i beni di cui hanno bisogno. Ciò accade per le norme e le tradizioni culturali che impediscono alle donne afghane anche solo di parlare con gli operatori umanitari di sesso maschile.

C’è bisogno di donne per aiutare le donne 

Secondo UN Women, il 93% delle Organizzazioni intervistate che lavora in Afghanistan, ha affermato che il divieto sta avendo un forte impatto sulla capacità delle stesse Organizzazioni di accedere alle donne che hanno bisogno di assistenza. Abbiamo più volte sottolineato che le donne sono essenziali per la consegna dei beni e che senza di loro, milioni di donne e bambini sarebbero stati esclusi dagli aiuti salvavita.

I nostri peggiori timori vengono ora confermati dai racconti di donne come Seima, una vedova di 26 anni con quattro figli, che stanno perdendo un sostegno vitale.

La storia di Seima

Seima è una donna di 26 anni, che ha perso il marito a causa del COVID-19 due anni fa, lasciandola sola, senza “mahram” o tutore maschio a scortarla quando esce di casa: un requisito ora ampiamente applicato dai talebani. Vogliamo dar voce alle sue parole, alle sue esigenze:

Gli aiuti umanitari ora sono distribuiti principalmente da uomini. Se andiamo da loro a chiedere sostegno, gli anziani della comunità ci chiedono di mandare un uomo a ritirare i beni. Non ce li lasciano prendere perché siamo donne. Non so perché non ci diano gli aiuti, ma abbiamo provato diverse volte. Gli operatori umanitari maschi, non potranno capire le nostre sofferenze e non potranno entrare a casa nostra per verificare quanto siamo in difficoltà. E non potremo ricevere l'assistenza necessaria."

"Se gli operatori non sono a conoscenza della nostra situazione, non verremo aggiunti negli elenchi per la distribuzione degli aiuti” ha raccontato Seima, che prosegue “Non posso condividere la mia storia con gli uomini. È molto difficile per me. Gli uomini non possono risolvere tutti i problemi. Gli uomini possono risolvere i problemi con gli uomini. Ma abbiamo bisogno di donne per aiutare le donne. Vogliamo che le donne vengano a darci assistenza". 

Il divieto sta solo aumentando i bisogni di donne e bambini

Il decreto che impedisce alle donne di lavorare nelle ONG, non poteva arrivare in un momento peggiore per l'Afghanistan. Il Paese, infatti, si trova ad affrontare una catastrofica crisi umanitaria, con un terribile recessione economica e una grave siccità che fanno salire alle stelle i prezzi del cibo, la disoccupazione e la povertà. Si calcola, appunto, che ogni due persone su tre in Afghanistan, cioè ben 28 milioni tra bambini e adulti, ha bisogno di aiuti umanitari immediati per sopravvivere.

Donne e bambini sono colpiti in maniera sproporzionata dalla crisi. Le famiglie sostenute da donne hanno redditi molto più bassi rispetto alle famiglie sostenute da uomini e il 96% delle famiglie con un capofamiglia donna, non mangia cibo a sufficienza a causa delle restrizioni per donne e ragazze.

Le nostre richieste 

Insieme ad altre Organizzazioni, abbiamo messo in pausa le attività dopo l’annuncio del divieto, perché il personale femminile è essenziale per una distribuzione sicura ed efficace dei servizi ed è fondamentale per raggiungere donne e ragazze. Inoltre, quasi la metà della forza lavoro di Save the Children in Afghanistan è costituita da donne. Sebbene alcune attività siano riprese, laddove sono state ricevute assicurazioni per il personale femminile di una ripresa del lavoro in sicurezza, principalmente nella sanità e nell'istruzione, oltre il 50% delle nostre operazioni sono ancora in pausa, compresa la distribuzione di denaro che aiuta le famiglie a soddisfare i bisogni di base, la distribuzione di acqua e di servizi igienico-sanitarie e di tutela dei minori.

Chiediamo nuovamente alle autorità de facto di revocare completamente il divieto e consentire alle ONG di riprendere appieno le attività con personale femminile e maschile. 

Chiediamo inoltre a tutte le agenzie umanitarie che operano in Afghanistan di garantire che tutte le attività siano condotte con squadre femminili e maschili e sollecitiamo i paesi donatori ad astenersi dal ridurre o congelare i finanziamenti flessibili tanto necessari per il Paese. 

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