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L’immigrazione dall’Eritrea: 9 cose da sapere

Una gran parte degli immigrati che arrivano in Italia provengono dall’ Eritrea e molti sono i minori non accompagnati. Nel 2013 i bambini non accompagnati arrivati in Italia dall’Eritrea via mare erano quasi 700. Nel 2014, al 31 maggio 2014, sono già 1700, la maggior parte sbarcati in aprile e maggio. Gli stessi minori hanno dichiarato a Save the Children che nei prossimi mesi ne arriveranno altre migliaia dai campi profughi al confine con l'Etiopia. 

Ma perché tante persone scappano dall’Eritrea?

  1.  Fuggono dall’Eritrea per evitare la coscrizione militare.
  2.  Il servizio militare nazionale è obbligatorio, spesso viene esteso indefinitamente e molti sono costretti ai lavori forzati.
  3. Migliaia di prigionieri di coscienza e politici sono ancora detenuti in condizioni spaventose.
  4. Tortura e altri maltrattamenti sono comuni.
  5.  Non sono permessi partiti di opposizione, media indipendenti o organizzazioni.
  6.  Il paese ha un alto tasso di mortalità materno-infantile occupando il posto 132 della classifica presente del rapporto sullo Stato delle Madri nel Mondo.
  7. Nel mese di luglio, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha nominato un relatore speciale sulla Eritrea, in risposta a" le continue diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani [...] da parte delle autorità eritree."  Il governo eritreo ha però respinto la nomina perché considerata politica.
  8.  Nello stesso mese, il gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite sulla Somalia e l'Eritrea ha riferito che l'Eritrea ha continuato a rifornire i gruppi armati di opposizione al governo somalo dai paesi limitrofi, in particolare in Etiopia, inoltre, intorno alla metà dell'anno, altri rapporti hanno indicato che il governo stava distribuendo armi per la popolazione civile, per ragioni sconosciute.
  9. Lasciare l’Eritrea è molto pericoloso, si rischia la vita e, in molte occasioni, il viaggio verso l’Europa può durare anni.

Il viaggio dall'Eritrea

L’arrivo in Italia avviene dopo diversi mesi dalla partenza dall’Eritrea e dopo un viaggio attraverso l’Etiopia, il Sudan e la Libia, estremamente rischioso, che può durare anche più di 2 anni. Dai racconti dei minori non accompagnati eritrei incontrati dagli operatori di Save the Children in frontiera emerge che la decisione di partire viene presa dai ragazzi da soli, spesso perché sentono forte la responsabilità di dover provvedere al mantenimento dell’intera famiglia, fin da piccoli. Un ostacolo importante, e di conseguenza un fattore che induce i minori eritrei a lasciare da soli il proprio Paese, è il rischio di essere arruolati nell’esercito, circostanza piuttosto comune in seguito ad insuccessi scolastici, anche per le ragazze. Il primo Paese che incontrano, lasciando l’Eritrea, è l’Etiopia. Per riuscire a raggiungere questo Paese devono attraversare due trincee, raggiungono a piedi il Tigrai, zone situata a nord dell’Etiopia contattando un trafficante che li guida oltre il confine. La situazione al confine è descritta dagli stessi ragazzi come molto pericolosa: riferiscono che molti loro compagni sono rimasti uccisi da militari eritrei. Arrivati in Etiopia, i militari etiopi presenti in trincea, portano direttamente i profughi in diversi campi. Quando riescono ad allontanarsi dai campi, per riuscire ad attraversare la frontiera clandestinamente tra Etiopia e Sudan, devono pagare circa 300 dollari e superare un grande fiume che si chiama Tekese. Esistono trafficanti che fanno attraversare il fiume ai profughi, a piedi, mediante l’utilizzo di animali come cammelli e mucche. In Sudan il percorso è ancora più rischioso per la presenza dei Rashaida, nomadi che si arricchiscono sequestrando e chiedendo ingenti riscatti (fino a 20mila dollari) per rilasciare i migranti. Durante la prigionia subiscono torture e violenze, come l’utilizzo di scariche elettriche. Attraversato il Sudan arrivano in Libia, da soli o ceduti dai trafficanti sudanesi a quelli libici. Trascorrono mesi in carcere da cui possono essere liberati solo a fronte di pagamento o andando a lavorare in condizioni di schiavitù. Quando riescono a fuggire da queste situazioni resta solo da affrontare il mare per arrivare in Europa, rischiando, ancora una volta la propria vita. In altri casi vengono detenuti dai trafficanti in luoghi isolati, stipati per mesi, in gruppi di anche 40 persone, in un’unica stanza. Rimangono in attesa di partire in un viaggio organizzato dai trafficanti stessi con imbarcazioni fatiscenti. Così arrivano in Italia, spesso considerato solo un paese di passaggio, per arrivare in altre Nazioni Europee dove hanno parenti o dove vedono la possibilità di costruirsi un futuro migliore per sé e le proprie famiglie.