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Senza nome e cognome perché nati per morire. La battaglia contro la mortalità infantile

Senza nome e cognome perché nati per morire. La battaglia contro la mortalità infantile

La nostra battaglia per dire basta alla mortalità infantile è partita alcuni anni fa. Anni di una lotta durissima  che ancora non abbiamo, purtroppo, vinto.  Cominciamo dai fatti: globalmente la mortalità dei bambini sotto i 5 anni ha avuto un declino importante. Dal 1990 al 2013, si è dimezzata. Siamo passati cioè da 12,7 milioni di bambini che muoiono ogni anno a 6,3 milioni. Il fenomeno sta scendendo rapidamente, specialmente negli ultimi 20 anni, dove è calato più velocemente che in ogni altra epoca.

Dal 1990, il tasso di riduzione è triplicato. Grazie a questo, circa 100 milioni di bambini sono stati salvati negli ultimi 20 anni. Benissimo, si dirà, ottimi progressi. Ma la situazione è meno positiva di quello che sembrerebbe. E qui cominciano le note dolenti: nel mondo ci sono ancora 6,3 milioni di bambini sotto i 5 anni che muoiono ogni anno. Un totale, dal 1990 al 2013, di 223 milioni. Duecentoventitre milioni. Ripetiamocelo ancora che non si sa mai: 223 milioni.

Un numero incredibile. L’Italia, per capirci, ha circa 60 milioni di abitanti. È come se sparissero quasi 4 Italie. Per sempre. Mai nessuna guerra, neanche quella più efferata e cruenta, ha mai fatto tanto. Nessuno disastro naturale. Nessun terremoto, alluvione o tsunami. Nel 2000 i Paesi del mondo si erano dati degli obiettivi (chiamati obiettivi di sviluppo del millennio – MDGs, Millenium Development Goals in inglese) fra cui quello di ridurre la mortalità infantile di 2/3 entro il 2015. Questo obiettivo non sarà affatto raggiunto il prossimo anno ma, andando avanti di questo passo, solo nel 2026. Un ritardo, colpevole, di ben 11 anni. 11 anni in cui moriranno altri bambini ed altri ancora (attualmente il ritmo è di 1 ogni 5 secondi).

Come si può assistere a tutto ciò senza fare niente? Come possiamo stare fermi di fronte a una strage del genere? La più grave di tutti i tempi. Come si può se si considera che questi bambini muoiono per delle cause prevenibili e delle malattie (polmonite, diarrea, malaria, complicazioni al parto) che potrebbero essere curate con delle semplici ed efficaci soluzioni.

Soluzioni che abbiamo a portata di mano. Oggi, non domani. Vaccini, zanzariere, allattamento al seno, assistenza sanitaria prima, durante e dopo il parto, per citarne alcune. Non c’è quindi bisogno di inventare nulla. Non dobbiamo studiare cure per malattie misteriose e sconosciute. [cycloneslider id="battaglia-contro-mortalita-infantile"] Due situazioni particolarmente significative sono quelle relative ai neonati e alle mamme. Le descrivo: i primi giorni di vita di un bambino sono i più difficili, questo lo sanno tutti. E infatti 2,8 milioni ogni anno muoiono nel primo mese (28 giorni per l’esattezza), 2 milioni nella prima settimana e ben 1 milione nel primo giorno. E’ paradossale che il giorno che dovrebbe essere il più bello, il più felice, si riduca miseramente al più brutto. Ci sono genitori che non danno il nome al proprio figlio per le prime settimane, perché non sanno se sopravvivrà o meno. Solo il 59% dei bambini sotto l’anno di età vengono registrati alla nascita (questo, oltre all’incertezza sulla sopravvivenza, pone il problema, enorme, di rendere i bambini invisibili al già debolissimo sistema sanitario del paese e quindi impossibile sapere chi debba essere vaccinato o meno). E poi le mamme, le donne: l’istruzione per le bambine e le ragazze è cruciale per la riduzione della mortalità infantile. Questa, badate bene, non è un’affermazione di principio. E’ scienza, un dato di fatto: la mortalità neonatale fra le mamme senza istruzione è quasi il doppio rispetto a quelle con istruzione. Ancora: la mortalità è più alta fra le mamme più giovani, fra quelle che mettono meno intervalli tra un parto e l’altro, così come fra quelle che vivono nelle aree rurali, dove l’accesso alle cure sanitarie è più difficoltoso. Il destino di un bambino, quindi, è già scritto nelle difficili condizioni di vita e di salute delle madri. Nati per morire verrebbe da dire. E infatti “Nati per morire” è il titolo del rapporto che presentiamo oggi in occasione del rilancio della nostra campagna Every One per dire basta alla mortalità infantile. Esistono però dei motivi per essere ottimisti, nonostante tutto. Per prima cosa, i progressi compiuti fino a oggi dimostrano che fermare il problema si può. Volendo anche domani o oggi stesso. Basta la volontà politica di farlo. E non parlo solo di più soldi per gli aiuti ai paesi poveri che sono particolarmente colpiti dal fenomeno (sapete che con quanto si spende per armamenti, guerre ecc. potremmo risolvere tutti o quasi i problemi relativi alla povertà nel mondo). Parlo di investimenti, controlli sugli investimenti, distribuzione di aiuti. Parlo di rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali. Di maggiore scolarizzazione e accesso all’istruzione per le donne. Di formazione degli operatori sanitari. Di costruzione di ospedali. Occorre insomma un maggior impegno della Comunità internazionale. Così come occorre un maggior impegno dei Paesi poveri nella migliore e più efficace gestione degli aiuti che ricevono. L’altro motivo per essere ottimisti, siamo noi, Save the Children. E tutte le altre organizzazioni che lavorano sul campo con grande impegno, passione ed efficacia. Alcuni risultati ottenuti da Save the Children nel 2013: 14,4 milioni di bambini che hanno beneficiato dei nostri interventi di nutrizione; 13,2 milioni di mamme e bambini raggiunti con programmi di salute materno-infantile; 60.000 bambini nati grazie all’intervento di personale specializzato; 580.000 bambini vaccinati; 3,1 milioni di casi di malaria, polmonite, diarrea, malnutrizione trattati. Numeri (non irrilevanti). Ma dietro questi numeri, c’è il duro lavoro, la battaglia per portare l’assistenza in zone remote, dove nulla c’è. Se non l’operatore di Save the Children che con la sua bici o con i suoi piedi raggiunge mamme e bambini. Gli porta le cure. Gli fa le visite. Gli aiuta giorno per giorno. L’ho visto io tante volte nel mio lavoro. Save the Children non può di certo risolvere il problema da solo. Noi non abbiamo soldi a sufficienza. Ne abbastanza potere per farlo. Ma intanto, siamo lì. E salviamo vite. Continuiamo a lottare, finché il problema non sarà risolto. Finché non ci sarà più un bambino a cui non si potrà dare un nome e cognome. Finché tutti i bambini saranno nati per vivere.