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Una scuola di comunità: le esperienze dei patti educativi

giovani e adulti riuniti di fronte la scuola per un progetto comunitario

All’interno del progetto Fuoriclasse in Movimento, la nostra rete di scuole contro la dispersione scolastica, viene promosso il concetto di comunità educante, ovvero una rete di relazioni solidali alimentate da coloro che vivono e operano in un territorio specifico. Ciò è possibile grazie ai nostri interventi legati ai Patti Educativi di Comunità, distribuiti su tutto il territorio nazionale, dalla periferia della grande metropoli alla città di provincia. I Patti Educativi si basano su un approccio partecipativo, orizzontale e solidale della società, mostrandosi come strumenti per creare alleanze territoriali tra scuole, enti locali, soggetti del terzo settore e del civismo attivo centrate sulla pari dignità e sul reciproco riconoscimento di tutti gli attori coinvolti.

L’obiettivo principale? Promuovere una scuola di comunità che includa i ragazzi e le ragazze come protagonisti attivi nella definizione delle politiche che li riguardano, in cui le scuole provano ad aprirsi al contesto sociale e culturale per contrastare e prevenire i fenomeni della povertà educativa, dell'abbandono scolastico e del fallimento formativo. Inoltre, si cerca di sostenere le esperienze collettive e cooperative di “cura reciproca”, responsabilizzando tutti gli attori coinvolti, compresi i servizi sociali territoriali.

Come nasce un patto? 

Dalle esperienze di Aprilia e Napoli, capiamo insieme come si avvia un Patto Educativo. Il punto di partenza è sicuramente l’esistenza di rapporti già in essere tra istituti scolastici, enti pubblici, famiglie e enti del terzo settore. 

Ad Aprilia sicuramente ha agevolato l’avvio del patto la stretta collaborazione di Save the Children e l’ente partner PsyPlus Onlus, con l’amministrazione comunale, il Centro Servizi per il Volontariato (CSV Lazio) e tutte le realtà locali. A Napoli invece, nel quartiere di Pianura, l’esistenza di un patto cittadino, il supporto di un partner storico come EaSlab, e la presenza di 2 istituti scolastici con dirigenti molto attive (IC Russo e IC Palasciano) ha aiutato la prima fase di raccolta bisogni e coinvolgimento famiglie.

Una buona pratica trasversale ai due territori è stata sicuramente la progettazione partecipata o co-progettazione: i partecipanti al patto vengono divisi in piccoli gruppi eterogenei, facendo attenzione a coinvolgere in ogni gruppo un docente o un dirigente scolastico, un rappresentante dell’amministrazione comunale, del distretto sanitario, del terzo settore, un genitore, ecc. I gruppi lavorano poi in sinergia grazie alla presenza di una facilitatrice, valorizzando le competenze e le conoscenze di ciascuno, lavorando insieme verso un obiettivo comune in modo cooperativo e solidale. Il patto educativo mira dunque a diventare un dispositivo che stimola la partecipazione e dà voce alla comunità, favorendo la partecipazione civica.

Di seguito l’intervista a Dirigenti Scolastici (Enrico Raponi, IC Toscanini di Aprilia) ed esponenti del Terzo Settore (Giulia Tedeschi, Reti di giustizia - il Sociale contro le mafie, rappresentanti della cooperativa EDI e Rita Fiorentino per PsyPlus):

Quali sono gli ingredienti per co-progettare con e per la comunità educante?

  • E. R.: Comunione di intenti, condivisione e perseguimento degli stessi obiettivi, continuità nell’azione, e collaborazione tra tutti o parte degli attori della comunità educante per il raggiungimento della meta finale.
  • G. T.:  Progettare insieme richiede una premessa essenziale: l’ascolto e il dialogo, di e con la comunità educante tutta. Ascolto e dialogo possono emergere solo quando sono in campo relazioni stabili, continuative e profonde tra i soggetti coinvolti, in cui tutti e tutte sentano di essere partecipanti attivi e incisivi nel contesto di riferimento.
  • EDI: Se usassimo una metafora culinaria e dovessimo preparare un piatto saporito e nutriente al punto giusto, non potremmo non avere tra i nostri ingredienti: passione per i diritti, capacità di mettersi al servizio, competenze, un pizzico di follia.

Quali opportunità educative rendono una città più equa?

  • E.R.: Coinvolgimento del territorio con l’amministrazione, le scuole, le associazioni, soprattutto responsabilizzando i cittadini attraverso buone pratiche educative messe in atto a scuola. I piccoli coinvolgano i grandi mettendoli di fronte alle proprie responsabilità. Costruzioni di reti forti e solidali che abbiano intenti comuni.
  • G.T.: Le diseguaglianze sono sempre multifattoriali. Ogni intervento, dentro e fuori il Patto, deve prima di tutto mirare a incidere su più livelli di complessità. Questo perché l’educazione, nel suo più ampio spettro di significato, si realizza nell’insieme di senso che ognuno di questi aspetti propone. 
  • EDI:  Una città è più equa quando i diritti vengono messi al centro delle scelte che ne guidano l’amministrazione. In particolare, la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC), se letta come un documento vivo, ci fornisce tutte le indicazioni necessarie e ci interroga quotidianamente sulle nostre scelte. 

Quali possono essere le strategie per la sostenibilità dei patti educativi di comunità?

  • E.R.: Iniziare a lavorare insieme e vedere poi l’evoluzione nel tempo. Dopodiché si possono, sulla base delle esperienze fatte, mettere in atto strategie comuni utili al patto di comunità.
  • G.T.: Occorre sottolineare due aspetti: il primo, che la logica di Patto entri in un’ottica sistemica e strutturale, non solo dal punto di vista delle persone, ma anche da quello delle Istituzioni, con le necessarie ricadute a livello dei sostegni (anche economici) preposti; il secondo, che l’impegno di tutte e tutti come comunità educante sia riconosciuto e valorizzato come elemento complementare, e non sostitutivo, delle politiche necessarie al pieno sviluppo dei diritti.
  • R.F.: Non dovremmo concentrarci esclusivamente su quello che non c’è o che manca. E’ necessario spostare lo sguardo su quello che si può attivare e quindi valorizzare. In questo modo è possibile mettere a sistema tutte le esperienze e le risorse educative del territorio.

C’è un aspetto, e quale, vi è piaciuto particolarmente del lavoro fatto insieme? 

  • E.R.: Innanzitutto la possibilità di poter conoscere tante realtà che sarebbero rimaste nell’ombra, le loro finalità e la possibilità da subito di iniziare collaborazioni sul territorio.
  • G.T.: Dall’inizio dei lavori quello che ci ha colpiti in particolar modo è stata la capacità di ogni partecipante coinvolto di mettere al servizio della comunità intera le proprie conoscenze e competenze, non tanto e non solo come elemento distintivo, ma soprattutto nell’ottica di proporle e trasferirle nell’impegno per un progetto comune, per una finalità ulteriore. 
  • EDI: Crediamo che un patto educativo di comunità non possa essere definito tale senza un reale coinvolgimento dei genitori. Riteniamo quindi che il tentativo fatto di interloquire con le famiglie abbia rappresentato un passaggio fondamentale e necessario per il senso stesso del patto educativo.

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