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Il racconto di Fatima, un’insegnante in Afghanistan

bambine afghana che si prendono la mano

Il personale femminile è al centro del nostro lavoro in Afghanistan e il divieto per l’impiego di operatrici umanitarie nel Paese porterà un impatto diretto sull'assistenza salvavita che forniamo a milioni di donne e bambini. 
Non possiamo girarci dall’altra parte e interrompere il nostro sostegno alle donne afghane, specialmente in un periodo storico dove siamo costretti a confrontarci con una delle più grandi crisi economiche e alimentari di tutti i tempi. 

Dobbiamo essere al loro fianco, mediare e prendere le loro difese per il rispetto dei diritti. È ciò che richiede a gran voce Fatima, la protagonista della lettera che presentiamo. In Afghanistan Fatima è insegnante, un lavoro che aveva sempre sognato di fare, per dispensare sapere alla comunità in cui era cresciuta. Ci racconta la storia della sua famiglia e delle difficoltà che ha affrontato, un ciclo che purtroppo si ripete.

Queste le sue parole che ci teniamo a condividere per amplificare il suo messaggio. 

Ero sconvolta, indignata, col cuore a pezzi…

“Poco più di una settimana fa i Talebani mi hanno impedito di lavorare per Save the Children. Io lavoro in ambito educativo e amo il mio lavoro più di qualunque altra cosa al mondo. Me lo hanno impedito in quanto donna Afghana, poiché dicono che il contributo delle operatrici umanitarie in Afghanistan non è necessario. Ero sconvolta, indignata, col cuore a pezzi...

I nostri studenti sono nel bel mezzo del percorso che li condurrà agli esami finali. Adesso non saranno in grado di sostenerli, che significa che non potranno accedere all’anno successivo. Un intero anno di studio sprecato.
Non è la prima volta che ragazze e donne afghane si trovano a dover lottare lungamente per veder riconosciuto il loro diritto a studiare, a muoversi liberamente, a esistere. Io avevo 9 anni quando ho scoperto cosa fosse andare a scuola. Non sapevo leggere né scrivere e non sapevo neppure che aspetto avesse un edificio scolastico. La comunità dove sono cresciuta, in Afghanistan, non aveva una scuola e tutti erano analfabeti.
Poi un giorno un’organizzazione turca ha aperto una scuola vicino casa mia, e tutta la mia vita è cambiata.

Dopodiché i Talebani sono saliti al potere per la prima volta e hanno proibito alle ragazze di andare a scuola. Mio padre però, con coraggio si è opposto a loro e a altri nella nostra comunità che credevano che le ragazze non avessero il diritto di imparare. Accompagnava me e mia sorella a scuola ogni giorno, perché nella vita potessimo avere maggiori opportunità. Lui non ha voluto vederci sposate con uomini più anziani di nostro nonno, come molte altre ragazze del mio villaggio. È stata dura, è stato pericoloso. Mio padre ha rischiato la vita, ma ce la abbiamo fatta. Siamo state le prime ragazze della nostra comunità ad andare a scuola.

E io sono stata la prima della mia comunità ad andare all’università. Ho studiato ostetricia, ma poi ho deciso di diventare insegnante per assicurarmi che anche altre ragazze avessero la possibilità di imparare.

Oggi la storia si ripete. Ancora una volta, i Talebani sono al potere e hanno escluso le ragazze dalla scuola secondaria e dalle università. Ci hanno vietate l’accesso nei parchi, nelle palestre, ci hanno proibito di viaggiare da sole. Ci stanno impedendo di vivere le nostre vite.

Il divieto di lavorare per organizzazioni nazionali e internazionali in Afghanistan imposto dall’ultimo decreto non solo limita ulteriormente i diritti delle donne, ma costerà anche molte vite. Senza la componente femminile del proprio staff, organizzazioni come Save the Children non potranno più operare efficacemente e in sicurezza in Afghanistan. Questo perché le donne e le ragazze nella nostra comunità al di fuori dell’ambito familiare possono interagire soltanto con altre donne e ragazze.
Questo significa che possiamo farci visitare soltanto da ostetriche, dottoresse, infermiere. Le nostre ragazze possono essere istruite soltanto da insegnanti donne. Le donne a capo di un nucleo familiare non potranno ricevere cibo o aiuti economici a meno che al centro di distribuzione non ci sia un’operatrice donna con cui possa interagire. 

Il divieto per l’impiego di operatrici umanitarie in Afghanistan sta fattivamente tagliando fuori donne e bambini da fonti di supporto fondamentali.  Chiedo al mondo di restare al nostro fianco, di prendere le nostre difese, di essere la nostra voce e chiedere che il divieto venga al più presto revocato. La nostra vita dipende da questo." 

Per approfondire leggi l'articolo "Intervento sospeso in Afghanistan, il nostro lavoro in 9 punti".

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