La storia di Abdou, giovane rifugiato

Anta NDIAYE/Save the Children

Abdou, originario del Senegal, ha iniziato a lavorare molto presto come meccanico, senza mai avere accesso a un’istruzione formale. Senza la possibilità di studiare, la vita quotidiana era segnata dalla fatica e dalla responsabilità, e spesso anche dalle preoccupazioni per la propria famiglia e per le difficoltà del paese. In Senegal, infatti, circa un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà, con un accesso limitato a servizi educativi e sanitari, e alti tassi di disoccupazione giovanile — fattori che spingono molti ragazzi a cercare un futuro altrove.

Nonostante questo, ha condiviso i ricordi del suo Paese con calore e dolore: le sfide, le opportunità limitate, ma anche i momenti di gioia, come le celebrazioni del Ramadan, che rappresentavano uno spazio di serenità e comunità — sebbene anche questi momenti dipendevano dalla possibilità economica di parteciparvi.

Come tanti altre persone, ha lasciato il Senegal non perché lo desiderasse, ma perché non vedeva altra via d’uscita. Con il cuore colmo di preoccupazioni per la sua famiglia, il futuro incerto e le difficoltà del suo Paese, ha iniziato a coltivare dentro di sé una speranza: che da qualche parte, qualcosa di meglio fosse possibile.

L'arrivo in Italia tra aspettative e realtà

Il suo viaggio verso l’Italia è stato lungo e difficile: è sbarcato in Sicilia per poi risalire lungo la penisola. All’arrivo, le sue aspettative erano alte: immaginava opportunità, istruzione e sicurezza. E alcuni di questi sogni si sono realizzati. Ha imparato l’italiano, ha potuto proseguire gli studi e ha svolto uno stage formativo che lo ha aiutato a prepararsi al mondo del lavoro. Ma la strada è stata tutt'altro che facile.

Dopo tutte le difficoltà affrontate per arrivare, la sfida non era finita. Il momento tanto atteso, quello che avrebbe dovuto cambiare la vita, si è rivelato più complesso del previsto. Una delle difficoltà maggiori dopo l’arrivo è stata affrontare la burocrazia italiana. Ottenere i documenti e orientarsi nel sistema è risultato molto complicato, anche per chi già conosce il paese — ancor di più per chi vi arriva da solo, senza riferimenti, in un contesto totalmente nuovo. Senza orientamento, supporto e guida, tutto diventa quasi impossibile da affrontare. Questi ritardi, infatti, rallentano tutto il processo di inserimento: l’accesso alla scuola, la possibilità di trovare un’abitazione, un lavoro o anche solo l’assistenza sanitaria. A questo si aggiunge il peso psicologico dell’incertezza costante, dell’attesa prolungata e dell’isolamento, che possono avere un impatto significativo sulla salute mentale, soprattutto nei più giovani.

Molti giovani rifugiati si ritrovano in situazioni sociali difficili. Trovare un mediatore che davvero lo rappresentasse è stato complicato: ha dovuto cambiarne tre, aspettando ogni volta circa un mese per l’assegnazione di un nuovo referente. Questo tipo di instabilità può avere un impatto significativo sul benessere mentale ed emotivo dei giovani, aumentando il senso di insicurezza, solitudine e confusione. La salute mentale è spesso trascurata nei percorsi di accoglienza, ma è una componente essenziale per permettere a ciascuno di orientarsi, imparare e costruire un nuovo inizio. È fondamentale quindi offrire spazi sicuri, ascolto autentico e continuità relazionale, per favorire un vero processo di guarigione e integrazione.

Fortunatamente, ha potuto contare sul supporto di organizzazioni come CivicoZero, che lo hanno accompagnato nei momenti più delicati, offrendogli orientamento, sostegno emotivo e presenza costante. Queste realtà non solo lo hanno aiutato nei momenti più difficili, ma gli hanno anche spiegato, con chiarezza e rispetto, che erano davvero lì per lui. Gli hanno dato uno spazio tutto suo, dove poteva sentirsi libero di condividere ciò che voleva, senza pressioni. Questi tipi di spazi sono fondamentale anche per la sua salute mentale: gli hanno permesso di sentirsi accolto, di affrontare emozioni complesse legate al trauma e all’isolamento, e di iniziare un percorso di cura personale. Con il tempo, ha potuto affrontare con maggiore serenità tutto il lungo processo burocratico, imparare, e coltivare il valore dell’apprendimento come strumento di crescita e autonomia.

Rispetto al Senegal, l’Italia offre molte più opportunità, ma queste non sono facilmente accessibili senza un aiuto concreto. Ed è proprio questo accompagnamento che fa la differenza per tanti giovani migranti.

Superando i momenti difficili

“Cosa ti ha aiutato nei momenti più difficili?”

“Il calcio”, sorride. “E uscire con gli amici”.  

Nei momenti più duri, a sostenerlo sono state piccole grandi cose: il calcio, l’amicizia, le uscite con i coetanei. Fa parte di una squadra, con la quale continua a giocare ancora oggi. Questo lo ha aiutato a gestire lo stress, la preoccupazione e tutto ciò che era difficile da capire e fuori dal suo controllo. In un periodo segnato da incertezza e solitudine, queste attività sono diventate un’ancora emotiva, contribuendo in modo concreto al suo benessere psicologico.

Giocare a calcio e uscire con gli altri non sono solo momenti di svago, ma vere occasioni di apprendimento della lingua e di immersione nella cultura locale. Perché come a spiegato, non si tratta solo di lezioni. Bisogna vivere la lingua, cogliere ogni occasione per praticarla. Per lui, ciò che lo ha aiutato tantissimo è stato proprio stare lì, con la sua squadra, con i suoi amici. Quel contesto gli ha permesso di sentirsi incluso, parte di qualcosa.

La presenza di gruppi e relazioni sociali stabili è fondamentale per l’integrazione: il supporto sociale è infatti una componente essenziale del benessere. I legami costruiti nel quotidiano — attraverso lo sport, l’amicizia e il tempo libero — rappresentano una rete che sostiene, che dà forza, e che permette di affrontare le difficoltà con maggiore resilienza, riducendo il senso di isolamento e favorendo un percorso di guarigione emotiva.

Speranze per il futuro

Abdou ha appena iniziato un corso di sartoria e, con grande gioia, festeggia il fatto di aver finalmente ricevuto i documenti, un passo fondamentale verso l'indipendenza. Segna l’inizio di una nuova fase e apre tante porte per il suo futuro.  

Guardando avanti, spera di rimanere in Italia. Parla con gratitudine delle opportunità che ha ricevuto e vuole valorizzare tutto l’impegno che ha messo per arrivare fin qui, imparare e adattarsi. Vuole lavorare e, un giorno, viaggiare — magari in Francia o in Spagna — per rivedere gli amici conosciuti lungo il cammino.

Storie di rifugiati: perché è importante ascoltare, capire, sostenere

La sua riflessione finale è chiara: arrivare in un paese nuovo senza casa, senza documenti, senza punti di riferimento è una delle esperienze più dure che si possano vivere. Eppure, anche in questa condizione, si può trovare la forza di andare avanti. Con dedizione, partecipazione e voglia di imparare, è possibile costruire una nuova vita.

Il suo messaggio per gli altri rifugiati è semplice e diretto: bisogna impegnarsi, frequentare la scuola, partecipare agli incontri, rispettare gli appuntamenti. Solo così si può iniziare a capire cosa si vuole. E una volta capito, si può andare avanti con determinazione per costruirselo.

La storia di Abdou è una voce, ma ne rappresenta molte. Dietro ogni numero c'è un essere umano con una storia, una lotta e un sogno. Ascoltarli non è solo un atto di empatia: è un passo necessario per costruire una società più giusta e consapevole.

Per approfondire

Leggi l'articolo "Gli effetti psicologici della migrazione sui minori migranti, quale impatto?"

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