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TuttoMondo Contest: la Piccola Orchestra di Tor Pignattara e la musica per raccontare i luoghi che cambiano

Il 29 maggio si svolgerà la premiazione del TuttoMondo Contest, un concorso artistico rivolto ai giovani fino a 21 anni. La giornata di festa sarà conclusa con un grande evento che vedrà protagonisti i ragazzi e le ragazze della Piccola Orchestra di Tor Pignattara.

La Piccola Orchestra di Tor Pignattara è un‘orchestra multietnica formata da ragazzi, “immigrati di seconda generazione” e “romani”, tra i 13 e i 17 anni che gravitano intorno al quartiere popolare di Tor Pignattara, un simbolo della Roma che cambia con tanta bellezza e molte contraddizioni.

La Piccola Orchestra di Tor Pignattara suona strumenti da ogni parte del mondo e accoglie musiche di ogni angolo del pianeta. In attesa di ascoltarli dal vivo, abbiamo voluto fare qualche domanda a Domenico Coduto, ideatore e direttore dell'Orchestra e Pino Pecorelli, direttore artistico dell'Orchestra.

Come e dove è nata quest’idea, come è stato effettivamente realizzarla?

Domenico Coduto - L’idea è nata ormai tre anni a fa proprio a Tor Pignattara; mi ero trasferito nel quartiere da poco tempo e mi ha colpito sin da subito ciò che balza agli occhi di chiunque vi ci passi anche solo per pochi minuti: la grande varietà di persone che vi abitano provenienti da ogni parte del mondo, i colori dei loro vestiti, gli odori che provengono dalle cucine di quei palazzi.

E sopratutto la viva quotidianità attraverso la quale tutto ciò prende vita. Tutto questo mi è sembrato una ricchezza straordinaria, ma ovviamente in quartiere complesso come Tor Pignattara questo dato non è scontato, anzi, la convivenza non è sempre e del tutto pacifica.

Occupandomi di musica e di produzione di progetti culturali mi sono chiesto come potevo portare alla luce questa ricchezza e questa vivacità di culture e mi è venuta in mente, anche su suggerimento della mia compagna, l’idea di “far suonare” i tanti ragazzi che vivono nel quartiere. Era forte nella mia mente l’idea dell’Orchestra di Piazza Vittorio che più di dieci anni fa, per prima, aveva dato vita ad un meraviglio progetto musicale.

Da lì pian piano l’idea ha preso forma e grazie al contributo e al coraggio della Fondazione Nando Peretti, che ha creduto nella forza del progetto semplicemente partendo da un foglio bianco con delle parole, questa idea semplice ha preso vita e si è strasformata pian piano, grazie alle dedizione e alla passione delle persone che ci lavorano, nella Piccola Orchestra di Tor Pignattara, un’orchestra che ospita ragazzi che provengono da ogni parte di Roma e che hanno radici in quattordici diversi paesi del mondo.

Alla Fondazione Nando Peretti, negli anni a seguire si sono affiancate la Fondazione Alta Mane Italia, Open Society Foundations, e la SIAE.

È grazie a loro se questi ragazzi possono fare musica e se questo progetto può andare avanti e crescere giorno dopo giorno.

Come viene gestita un’orchestra multiculturale? Ci sono metodologie particolari per favorire, come dire, una “creazione multiculturale”?

Pino Pecorelli - Un’orchestra di per sé è un organismo multiculturale, a prescindere dalla provenienza geografica dei singoli.

Ogni strumento, anzi la scelta che la ragazza o il ragazzo adolescenti fanno dello strumento (che sia a fiato, un arco, una percussione) determina automaticamente un percorso culturale assai diverso tra gli interpreti. Da lì in poi i riferimenti, le ambizioni, il cammino che ognuno fa portano a una visione individuale di una materia di per sé invece collettiva e comune a tutti. E questa visione personale automaticamente incide sul suono finale dell’orchestra stessa.

Le radici culturali di queste ragazze e ragazzi possono addirittura essere oscure a loro stessi perché un immigrato di seconda generazione talvolta conosce le sue origini solo attraverso i racconti dei propri genitori, o da viaggi sporadici fatti nei paesi di provenienza.

Io cerco di stimolarli a conoscere il mondo musicale da cui vengono, proponendo spesso canzoni tradizionali molto distanti dal loro gusto ma che poi insieme “vestiamo” con sonorità più vicine alla loro quotidianità: rock, rap, pop, reggae diventano così il veicolo per apprendere più a fondo la propria cultura d’origine.

Come un’esperienza come questa può favorire la trasformazione di un quartiere come Tor Pignattara, da multietnico a multiculturale?

Domenico Coduto - Non so se questo progetto può avere la forza di trasformare un quartiere o almeno la sua percezione. Il fatto è che questo è un quartiere che va spesso sui giornali solo per fatti brutti o di cronaca nera ed ha invece una straordinaria vivacità che è solo in minima parte visibile. Ha delle potenzialità eccezionali.

Le persone che ci vivono hanno alle spalle storie di migrazioni spesso fatte anche di dolore e di rinunce, che si incontrano con il presente di chi vive da qui da più generazioni; un territorio bellissimo e martoriato che a partire da Pasolini ha ispirato proprio per la sua grande vivacità.

Tutto questo ovviamente dà vita non solo a cose belle ma anche a forti tensioni - che a volte esplodono - ma se si è in grado di incanalarle in maniera creativa e produttiva possono produrre davvero “La grande bellezza”.

La Piccola Orchestra di Tor Pignattara, nel suo piccolo non fa altro che questo: registrare e trasmettere attraverso la sua musica, la fotografia di un quartiere - e attraverso di esso di una città - che è, in questo momento storico, un laboratorio di convivenza a cielo aperto.

Qui si sta sperimentando, nel bene e nel male, ciò che è già realtà. Sta a noi e alla nostra capacità di fare di questo quartiere e di questo paese un “luogo” multietnico o più profondamente multiculturale.

La musica, l’arte, la cultura in generale, possono dunque trasformare i luoghi/non luoghi, in luoghi creativi, come la Piccola Orchestra di Tor Pignattara lo ha fatto, qualche esempio pratico?

Pino Pecorelli - La musica ha un potere enorme sia sull’ascoltatore che sull’interprete, spesso salvifico. Ha la forza di indicare una strada, una visione, una possibilità alle generazioni future. Questi ragazzi che ho la fortuna di dirigere insegnano a noi adulti tantissimo sul rispetto reciproco, la fratellanza e la stima, a prescindere dal colore della pelle.

Forse non cambiano un luogo specifico ma ci raccontano con la loro musica che il luogo in cui viviamo è già cambiato, mentre invece noi dibattiamo se siano italiani o stranieri. Oppure, come dice sorridendo un mio amico senegalese che vive in Italia con una moglie senegalese e una figlia nata qui dalla loro unione, “niente”.

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