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Anniversario del genocidio in Ruanda, una giornata in ricordo delle vittime

Donna ruandese in piedi tra due mura porta sulle spalle un bambino neonato nella fascia. Lei indossa una maglia rosa e una lunga gonna marrone.

Nella giornata del 7 aprile le Nazioni Unite hanno istituito la “Giornata Mondiale della Memoria in onore delle vittime del genocidio in Ruanda”, per ricordare quella terribile pagina di storia.

Il genocidio in Ruanda

Tra il 6 aprile e il 16 luglio del 1994 si consumò l’uccisione sistematica dei tutsi e degli hutu moderati per mano dell’esercito regolare e delle milizie paramilitari. In appena 100 giorni fu eseguito lo sterminio di un milione di persone, compiuto soprattutto con machete, asce, lance e bastoni chiodati. Tra i sopravvissuti si contano 250 mila donne violentate, 80 mila vedove e più di 300 mila orfani. 

La violenza esplose all’improvviso, da un giorno all’altro, e pervase ogni strada e ogni casa.

In questa carneficina, nemmeno i bambini furono risparmiati. Migliaia vennero uccisi a colpi di machete, altri furono sottoposti alle stesse mutilazioni degli adulti. Molti assistettero a violenze inimmaginabili, sviluppando in seguito forme di autismo o altri disturbi da stress post traumatico.

La storia di Vanessa, sopravvissuta al genocidio

Vanessa aveva solo 11 anni quando è iniziato il genocidio in Ruanda, oggi ne ha 35 e vive in un villaggio vicino alla casa in cui è nata. È stata una delle centinaia di migliaia di persone sfollate nel Paese e, dal giorno in cui è scoppiato il conflitto, non ha mai più rivisto i suoi genitori.

Nel 1995 lei e i suoi fratelli sono stati registrati da Save the Children che in quegli anni ha lavorato nel Paese per ricongiungere i famigliari dispersi ai minori che erano rimasti senza più nessuno. Migliaia di famiglie sono state riunificate, purtroppo nel caso di Vanessa questo non è stato possibile e sui suoi genitori non si sono mai più avute notizie.

Ascolta la sua storia nell’episodio del podcast “Children of War” dedicato alla storia del genocidio in Ruanda.


“Mia madre ha preso me e i miei fratelli, ha legato le maniche delle nostre maglie perché non ci perdessimo e ci siamo buttati a capofitto nella folla di persone che se ne andavano correndo. Noi cercavamo di rimanere uniti, ma la gente era spaventata e ci dava dei colpi e ci strattonavano. Nella folla ho perso di vista mia madre. Mentre cercavo di rimanere incollata ai miei fratelli, i miei occhi la cercavano ma lei non c’era più. Nella ressa di persone riconoscevo anche qualcuno del mio villaggio. C’era chi scappava, ma anche chi imbracciava le armi. L’amico tutsi con cui fino a pochi giorni prima avevamo bevuto caffè insieme, ora è diventato il nemico. Io, mio fratello e mia sorella abbiamo camminato per giorni…”

Durante il loro lungo pellegrinare, Vanessa e i suoi fratelli vengono accolti da una famiglia che offre loro aiuto e protezione. Si fermano lì, nel tentativo di ricominciare ad avere una vita normale.

È in quel villaggio che incontrano Save the Children, dove l’Organizzazione aveva istituito un centro di riunificazione famigliare. Ogni giorno i tre fratelli si recavano nel centro nella speranza di individuare i propri genitori tra le foto che venivano esposte sulle pareti, ma purtroppo non sono mai riusciti a risalire ai propri legami.

Ascolta la serie di podcast “Children of War”, 5 guerre, 5 storie di bambini cresciuti durante i conflitti più tristemente famosi della storia.

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