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Lavoro minorile online: i rischi del mondo digitale

ragazzo con volto coperto dal suo cellulare che tiene in mano

Per lavoro minorile si intende un’attività lavorativa svolta al di sotto dell’età minima legale di ammissione all’impiego, come stabilito dalla Convenzione ILO (Organizzazione Internazionale per il Lavoro) del 1973, n. 138.

Il fenomeno del lavoro minorile in Italia rimane per lo più sommerso e investe soprattutto i settori della ristorazione, del commercio, i lavori agricoli e in cantiere. Ma, da “Non è un gioco”, la nostra nuova indagine sul lavoro minorile nel nostro Paese, emergono anche nuovi ambiti lavorativi, come quelli legati al mondo digitale, un trend significativo, emerso negli ultimi anni. Dai fenomeni dei baby influencer, al reselling e al dropshipping, definiamo insieme quali sono le modalità in cui i minori lavorano online oggi

Il lavoro minorile nel mondo digitale

In Italia, sono il 5,7% i minori che svolgono attività di lavoro online. Tra le nuove forme di lavoro online oggi rientrano la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o ancora il reselling di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche. 

Il sopravvento della dimensione online nell’esperienza di vita delle giovani generazioni, la cosiddetta "Generazione Z", e la sua interscambiabilità rispetto a quella offline richiedono oggi di leggere il fenomeno del lavoro minorile in stretta relazione alla rivoluzione e immersione digitale. Le modalità in cui i minori lavorano online oggi, possono essere ritenute facili, immediati e poco tracciabili. Ma, come si può immaginare, in questo scenario i rischi si moltiplichino per via del facile accesso a molti nuovi modi di guadagnare.

Attività lavorative svolte online dai minori 

Le evidenze raccolte nella nostra ricerca Non è un gioco, sia attraverso la survey che nell’indagine tra pari, aprono all’analisi di casi che è necessario approfondire e verificare anche in termini di diffusione. Tra le diverse attività lavorative svolte online, l’indagine quantitativa e le interviste realizzate hanno portato alla luce attività di compravendita e reselling di indumenti, smartphone e pods per sigarette elettroniche, un trend nuovo rispetto all’indagine del 2013, incentivato dalla forte influenza del mondo digitale nelle vite dei giovani, e che necessita un monitoraggio e maggiori controlli dato anche il rischio a cui sono esposti i minori.

Di rilievo sono anche le esperienze di consulenza in ambito di cura ed estetica per la vendita di prodotti o l’attività di dropshipping, un modello di business che consente di comprare una merce da rivendere solo dopo aver concluso una vendita. Ciò significa che, senza necessità di un magazzino o di un pagamento in anticipo, il minore si pone come intermediario tra l’acquirente e il fornitore e, una volta ricevuto l’ordine da parte dell’acquirente, si attiva per comprare ad un prezzo inferiore la merce dal fornitore, che spedirà il prodotto direttamente all’acquirente. In questa ricerca, è significativo il racconto di un ragazzo approdato al commercio sul web:

“Mio padre ha iniziato a comprare e vendere, diciamo, abbigliamenti contraffatti. I miei fratelli (che avevano più o meno 11 e 13 anni) lo aiutavano a provare a vendere quelle cose (…) una brutta condizione di lavoro perché in qualche maniera ha portato i miei fratelli (…) a rischiare. Io intorno ai 14/15 anni mi sono tenuto più o meno un 100 euro da parte, e… c’erano queste piattaforme (...) e quindi io ho detto “ok il mio obiettivo adesso è iniziare a comprare e vendere telefonini”.

Tra le attività produttive che coinvolgono bambine/i e minori in maniera diretta possiamo richiamare anche il fenomeno dei baby influencer e quello dei content creator. Anche nel mondo dei videogiochi, i giovani gamers trovano opportunità di guadagno tramite la vendita o scambio di contenuti online da loro creati e sviluppati; si pensi al mondo di Roblox, arrivato ad oltre 58 milioni di giocatori nel 2022 e anch’esso dotato di restrizioni che sembrano essere spesso eluse.

“Non è un gioco” è anche un podcast: scritto e prodotto da Will Media in cui raccontiamo il fenomeno del lavoro minorile in Italia. Nella prima puntata di "Non è un gioco", l’autrice Silvia Boccardi parla della complessità di questo fenomeno e come oggi il lavoro minorile approda online, con due nostri esperti: Antonella Inverno, nostra responsabile ricerca dati e politiche per l’infanzia e l’adolescenza, e Daniele Catozzella, esperto educazione e didattica digitale dell’area scuola per il contrasto alla povertà educativa digitale. Ascolta la prima puntata:

Policy online: i rischi legati alla privacy dei minori 

Il fatto che siano minori sotto i 16 anni a svolgere queste attività mette in luce la mancanza di un adeguato controllo dell’età su diverse piattaforme online. È necessario dunque esplorare il coinvolgimento dei giovanissimi in queste attività produttive, possibile qualora, utilizzando escamotage come account falsi o godendo del consenso dei loro genitori o tutori, questi aggirino le policy che piattaforme come Youtube e Tik Tok hanno adottato rispetto all’utilizzo del servizio da parte dei minorenni.

Alcuni studi evidenziano, infatti, come le policy in uso nelle principali piattaforme per la verifica dell’età e l’acquisizione del consenso genitoriale siano facilmente eludibili e necessitino di una maggiore aderenza alle disposizioni del GDPR. Queste attività, oltre a rischi legati alla privacy e all’esposizione online, possono incidere anche sul benessere dei minori: gli algoritmi delle piattaforme esercitano infatti sempre maggiore pressione sui creators/influencer, chiedendo un costante impegno per produrre nuovi contenuti. 

Il web presenta dunque zone grigie in cui il lavoro minorile, l’abuso e la violazione della privacy di bambine, bambini e adolescenti si presentano in modi non canonici e che è necessario esplorare e controllare in misura crescente. Come rimarcato nella Relazione finale del Tavolo di Lavoro per la tutela dei minori online, istituito presso il Ministero della Giustizia, è necessario creare sistemi di verifica dell’età degli utenti impegnati in attività produttive sul web senza incorrere nel rischio di profilazione. Approfondisci l'argomento su Datificazione e profilazione: i rischi online per i bambini. A livello dell’UE si stanno moltiplicando gli sforzi in questo senso, con un codice di condotta in fase di elaborazione, nella consapevolezza delle sfide aperte sia nella dimensione della privacy e del monitoraggio che, in modo più ampio, rispetto alla necessità di rafforzare le competenze digitali di genitori, bambini e adolescenti.


Viviamo in un tempo in cui la vita dei bambini è “datificata”, registrata e condivisa sul web. E se da un lato emergono le conseguenze di una sovraesposizione al digitale, dall’altro ci sono anche quelle dell’essere esclusi dalla dimensione online, se non si ha accesso alla rete o si è privi di competenze. Nell'XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia - “Tempi digitali” parliamo del bisogno di protezione per i più giovani mentre affrontano le “opportunità rischiose” della rivoluzione digitale in un’Italia che sconta ancora ritardi e carenze sulla strada per la transizione digitale. Scopri di più:

xiv atlante dell'infanzia

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